Sono passati 60 anni dall’uscita di Onibaba, film cult del genere J-horror (film del genere di provenienza giapponese), addirittura uno dei primi a definire il genere stesso. Il regista è Kaneto Shindō, maestro dell’horror che ci ha lasciato nel 2012 all’età di 100 anni. Nel 2010 partecipa alla corsa per l’oscar al miglior film straniero con Postcard, senza però entrare nella cinquina finale. Con Onibaba ricostruisce la rappresentazione di un’antica fiaba buddista , che adesso andremo ad esplorare insieme.

Trama

Siamo nel periodo Nanboku-chō, una guerra infuria sul Giappone a causa della contrapposizione di due corti imperiali. Una suocera e sua nuora vengono a sapere da un compagno d’armi che il figlio -e marito- è caduto in battaglia. A causa delle attenzioni amorose che il nuovo arrivato dedica alla nuora, la storia si sviluppa tra le ripetute inquadrature a volte sensibili, a volte tormentose delle foglie di campo e la gelosia della donna anziana, che guidata anche dalla paura di rimanere sola escogiterà un piano che le si rivolterà contro.

Curiosità sulla produzione

Il regista desiderava fortemente girare il film in uno dei molti campi di Miscanthus Sinensis, (pianta tipica del paesaggio asiatico) presenti in Giappone, ne trovarono uno perfetto vicino ad un fiume. Sembra che Shindō abbia portato tutta la troupe nella location e che abbia comunicato che chi avrebbe lasciato il campo non non sarebbe stato pagato. Il film è stato infatti girato tutto di giorno, in quanto durante la notte il fiume riversava nel campo una moltitudine di insetti e granchi. Modalità crude quindi per un film che ha tenuto la troupe in situazioni scomode per tutta la durata delle riprese, ma che ha potuto in effetti sfruttare a pieno le variazioni della speciale erba che fa quasi da coprotagonista alla talentuosa Nobuko Otowa, attrice e moglie del regista presente in molte sue produzioni.

Onibaba”

Nel folclore giapponese un Onibaba (letteralmente “demone strega”) è una creatura mitologica affamata di carne umana, che cela la sua vera identità sotto le sembianze di una donna anziana. Nasconde la sua natura demoniaca per infondere un senso di sicurezza nelle sue vittime ed è conosciuta anche con i nomi di “Demone-strega” o “Vecchia strega”, quest’ultima espressione nello specifico utilizzata spesso nel film. L’Onibaba quindi nella rappresentazione classica ha l’aspetto di una vecchia raggrinzita e presenta spesso le caratteristiche dell’aspetto trasandato o una bocca enormemente grande, ma in Giappone la parola Onibaba non si riferisce solamente al demone della tradizione. Sebbene la parola si traduca letteralmente come demone/strega/orco, può anche riferirsi semplicemente ad una vecchia avara e dispettosa.

La fiaba

Ci sono varie versioni della storia della nascita dell’Onibaba. La più tradizionale narra la storia di una bambina proveniente da una ricca famiglia, che nonostante un normale stato di salute a 5 anni non aveva ancora pronunciato una parola. Il medico disse alla famiglia che un importante elemento della cura consisteva nel fegato di un bambino non ancora nato e il difficile compito fu affidato alla tata della bambina. Questa aveva a sua volta una figlia, a cui prima di partire regalò un amuleto. Passano mesi di ricerca durante i quali la tata non trova soluzione, quindi si ritira in una città ad aspettare l’arrivo di una donna incinta. Dopo molti anni si presenta un’occasione che la donna, ormai vecchia, riesce a cogliere. Appende quindi la sua vittima al contrario e strappa il fegato dal feto. Solo dopo però si accorge che la sua vittima possedeva lo stesso amuleto che aveva regalato a sua figlia. Resa folle dalla scoperta, la vecchia diventa un demone che da allora attacca e si ciba dei passanti.

La maschera giapponese

Nel film viene utilizzata una maschera, nello specifico un Han’nya. Questa è una popolare maschera utilizzata nel teatro che rappresenta un demone femminile geloso. É tipicamente caratterizzata da due corna taglienti, occhi abbagliati e bocca ghignante. É molto specifica nella rappresentazione di una donna così gelosa da diventare un demone.

Una visione sconvolgente

A buona ragione lo definirei un must, il film è stato una piacevole sorpresa. L’ambiente è quasi onirico, il regista decide di comunicare con lo spettatore tramite ogni singola inquadratura. La colonna sonora, di Hikaru Hayashi, aggiunge molto all’espressività della pellicola e dona un forte contributo alle sensazioni suggerite dal regista. La cosa che penso possa stupire di più però è il finale, che più che sorprendente ho trovato effettivamente disturbante. Ad avvalorare la tesi, sembra che William Friedkin abbia preso ispirazione dalla maschera di Onibaba per le sequenze subliminali de L’esorcista in cui appare il volto bianco di un demone.

La gelosia, la libertà di amare, la guerra.

Tra i vari argomenti che il film suggerisce, troviamo in cima alla lista il desiderio femminile. Mostrato come punibile, sia in età giovanile che avanzata, nell’antico folclore giapponese l’ignoto mondo femminile è qualcosa di così pericoloso da dare vita ad un essere demoniaco. Represso quindi, ma al tempo stesso mostrato, preso in considerazione. Non solo, così preso in considerazione da mostrarne gli effetti: ribellione, gelosia, vendetta, violenza. Tutto un fiume nato da una diga di repressione imposta dalla società. Per qualche aspetto in effetti, l’argomento ricorda quasi X-a sexy horror story di Ti West. Ma non si parla solo di gelosia, un altro argomento cardine del film è la guerra. Senza filtri, Kaneto Shindō mostra la situazione creatasi nei campi a causa degli scontri nella città vicina, le conseguenze sulla vita dei contadini, le storie dei disertori, tutto a carte scoperte. Ma anche la sensazione di inutilità, i combattenti che si sono sottratti alle armi inermi dichiarano apertamente di non ambire davvero ad una ricompensa onoraria di nessun tipo, di non partecipare emotivamente per nessun partito, ma di aver desiderato solo che finisse in fretta, di tornare a casa, di tornare alla propria vita di sempre.

Una storia interessante, piena di significati e critiche, possibilità di varie interpretazioni, una fotografia splendida e una regia impeccabile. Un must per buoni motivi quindi, assolutamente da recuperare per chi ancora non l’avesse visto.

Classificazione: 4 su 5.

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