Potrebbe mai, una disciplina complessa e articolata come la filosofia, essere connessa in qualche modo all’horror?
Per quanto possa sembrare assurdo, la risposta è affermativa: certi temi filosofici hanno uno stretto legame con l’orrore. E nessun periodo storico, se non quello contemporaneo, sarebbe in grado di avvalorare in miglior modo la tesi in questione. Il mondo in cui viviamo, infatti, è sempre più difficile da comprendere. Disastri planetari, pandemie emergenti, spostamenti tettonici, condizioni meteorologiche anomale, mari impregnati di petrolio… siamo silenziosamente e costantemente minacciati da un’estinzione incombente!
Partendo dalle riflessioni contenute nel testo Tra le ceneri di questo pianeta del filosofo americano contemporaneo Eugene Tracker, proveremo a scovare certi legami tra la filosofia e l’orrore in ambito cinematografico, letterario, teatrale… ecc.
In questo capitolo, affronteremo il tema dell’inintelligibilità e quello del cosmicismo. Non avete la più pallida idea di che sto parlando, eh?
Bene, se è così allora farete meglio a non continuare la lettura, poiché ciò che scoprirete potrebbe indurvi a dubitare della natura della vostra vita – sempre che sia degna di tal nome, un’esistenza come la vostra.
Accettare l’idea che non tutto ciò che esiste nell’universo sia intelligibile (cioè possibile da conoscere per l’uomo), è decisamente pauroso. Oltre a svolgere le nostre mansioni quotidiane, riflettere su desideri e drammi personali, tuttavia, che potremmo mai fare per risolvere la questione? Nulla, o almeno così pare. E non è molto confortante. Il concetto dell’impossibilità di conoscere ogni cosa è stato, difatti, uno dei temi principali del genere horror per qualche tempo. Si vedano, ad esempio, le opere dello scrittore americano Howard Phillips Lovecraft. Negli scritti di quest’ultimo, l’essere umano non è altro che una pedina insignificante nell’enorme scacchiera dell’universo, affascinata, tormentata e seviziata da entità aliene potentissime. Lo so, non fa ridere.
Vediamo le cose così come siamo stati costituiti per vederle, non avendo idea della loro natura assoluta. Con i nostri flebili cinque sensi pretendiamo di comprendere la sconfinata complessità del cosmo e, tuttavia, altri esseri, dotati di una gamma di sensi differente, più vasta e più affinata, potrebbe non solo vedere le cose in modo diverso da come le vediamo noi, ma addirittura vedere e analizzare interi mondi di materia, energia e vita, posti a portata di mano e, tuttavia, irrangiungibili dai sensi dei quali già disponiamo.
Howard Phillips Lovecraft, Dall’altrove (1920)
I personaggi di Lovecraft non possono comprendere (e neppure vedere) la reale forma degli extraterrestri in questione: gli uomini sono come formiche che abitano in un formicaio a Central Park, inconsapevoli dell’esistenza dell’immensa città che hanno intorno e, soprattutto, della possibilità d’esser schiacciati da un momento all’altro.
Anche se qualcuno li avvertisse del pericolo, gli insetti non sarebbero abbastanza intelligenti da comprendere il messaggio: è proprio questa l’idea che lo scrittore di Providence aveva dell’essere umano. Howard, per l’appunto, fu il fondatore del cosmicismo: una corrente di pensiero che concepisce l’uomo come una briciola di pane in una paniera gigantesca. Ma sono davvero matti come sembrano tutti i sostenitori di idee che si rifanno al cosmicismo?
La verità è che, nel ventunesimo secolo, abbiamo fatto enormi progressi scientifici e tecnologici, ma non abbiamo ancora dato ancora risposte a molte domande essenziali, che renderebbero il nostro cronometrato soggiorno sulla terra assai più gradevole (o almeno, così si spera). Chi siamo noi davvero? Da dove veniamo? Dio esiste? Come è nato l’universo? E se non è nato, come è possibile che esista da sempre? I fatti, dunque, parlano chiaro: a distanza di migliaia e migliaia di anni dalla nascita della civiltà umana sul pianeta terra, l’uomo è ancora un mistero per se stesso. Se si ragiona sulla questione, il cosmicismo non sembra poi così insensato.
Dunque, l’idea di non sapere davvero chi siamo, di non avere uno scopo certo (o oggettivamente giusto) nella vita, è a dir poco spaventosa.
Ecco perchè le persone in genere si tolgono la vita. Dopo Lovecraft, comunque sia, anche altri scrittori hanno integrato argomenti simili nei loro racconti e romanzi dell’orrore. Clark Ashton Smith, Laird Barron e Robert Chambers, ad esempio, sono autori che alle volte narrano (o hanno narrato, se non sono morti facendolo) storie in cui il terrore è rappresentato dallo sconosciuto. Si è consolidato così il Cosmic Horror, un genere letterario (o forse sarebbe più giusto dire una filosofia letteraria) che ha conosciuto la vita nel diciannovesimo secolo. Ormai è decaduto, ma è possibile trovarne lo zampino nel Weird.
Il Cosmicismo è, quindi, una corrente di pensiero assai ottimistica, che guarda all’umanità come “un insignificante puntino, destinato ad arrivare e a scomparire, senza che la sua apparizione sia notata o che la sua dipartita sia rimpianta”.