L’ultimo Halloween è il settantaduesimo libro della collana originale di Piccoli Brividi, pubblicato negli Stati Uniti a Ottobre del 1998 e, come sempre, scritto da R.L. Stine.
La copertina è a opera di Tim Jacobus. Dai toni decisamente lugubri, essa rappresenta una figura senza testa che sorregge una maschera luminescente. Il setting di un campo di zucche, assieme all’enorme luna sullo sfondo contribuiscono ad accrescere l’atmosfera sinistra dell’artwork. In verità, l’immagine risulta solo parzialmente pertinente con la storia raccontata nel romanzo, ma non si può negare che sia una delle copertine di maggiore impatto fra quelle realizzate da Jacobus.
TRAMA
Il protagonista della vicenda, Brandon Plush, adora fare scherzi alle persone. Al ragazzo importa ben poco delle conseguenze o dell’eventualità di superare il limite: prendersi gioco degli altri è l’unico passatempo capace di divertirlo a pieno.
Con l’arrivo di Halloween, Brandon e l’amico Cal organizzano uno scherzo ai danni del loro professore, il signor Benson. Il piano dei due è quello di introdursi in casa dell’uomo e metterla a soqquadro, ma le cose non vanno come previsto. Brandon e l’amico si ritrovano infatti braccati dai feroci cani da guardia del professore. Cal, purtroppo, rimane incastrato in una finestra e viene abbandonato come se nulla fosse.
Brandon decide di seminare gli animali saltando al di là di una voragine che si apre nel cortile della casa. Arrivato dall’altra parte, il giovane si ritrova in un’oscura cittadina.
Qui, Brandon viene accolto da un suo coetaneo di nome Norb, che lo invita a una festa di Halloween. Arrivato sul posto, il nostro protagonista viene fatto oggetto di diversi scherzi di cattivo gusto. Non accettando di subire ciò che ha sempre fatto agli altri, Brandon decide di tornare indietro.
Una rivelazione scioccante metterà però il giovane di fronte alla possibilità di non potere più fare ritorno a casa…
RECENSIONE
Attenzione: sono presenti SPOILER.
Soltanto leggendo i primi capitoli de L’ultimo Halloween ci si accorge di una sostanziale novità rispetto alle altre storie della collana. Brandon, protagonista e narratore delle vicende, è infatti un bullo. Avevamo già incontrato Steve ne La maschera maledetta n.2, che però non sembrava rendersi pienamente conto della malignità di alcune sue azioni. Brandon è invece pienamente consapevole di essere un bullo e ne va perfino fiero. Il ragazzo non sembra riuscire a immaginare un’alternativa, dal momento che spaventare e mettere a disagio le persone sono le uniche attività a dargli una minima soddisfazione. Non si può empatizzare in alcun modo col personaggio, ritrovandosi a sperare in una sua redenzione o, al contrario, in una sua possibile rovina.
Un’opportunità di redenzione arriverà in effetti a metà della storia, quando Brandon scopre con orrore di non essere mai riuscito a superare il precipizio nel cortile del signor Benson. Il ragazzo si trova difatti di fronte al proprio cadavere, rendendosi conto di essere diventato uno spirito incorporeo. Stine decide di non descrivere il corpo straziato dalla caduta, concentrandosi invece sulla reazione scioccata del ragazzo alla sua vista e al rumore “plop” che il cadavere emette una volta girato.
Angosciato all’idea di non poter più tornare a casa, Brandon chiede a Norb (che scopriamo essere uno spirito) se ci sia un modo per riottenere il proprio corpo. Un compromesso, in effetti, si mostra possibile: Brandon deve redimersi soccorrendo tre persone spaventate nel giro di un’ora. Per certi versi, la struttura della storia ricorda quella di Un Canto di Natale di Charles Dickens. Tuttavia, se l’esperienza di Ebenezer Scrooge portava l’uomo a rendersi concretamente conto dei propri errori, i dubbi sulle possibilità di redenzione di Brandon sono molteplici. Innanzitutto, sebbene cerchi con tutte le forze di soccorrere qualcuno, il ragazzo lo fa solamente per il proprio tornaconto. In secondo luogo, non sembra nemmeno che Brandon si sia pentito di ciò che ha fatto in passato, riferendosi alla sua vita precedente come “quando le cose erano divertenti”.
Insomma, la redenzione del nostro protagonista è tutto tranne che meritata…e Stine lo sa benissimo.
Il colpo di scena finale, immancabile in ogni Piccoli Brividi, serve infatti a dare un senso di sinistra giustizia alla vicenda. Norb rivela infatti a Brandon che, fin dall’inizio, non c’è mai stata nessuna possibilità di riprendere il proprio corpo. La prova che il giovane ha dovuto attraversare non era altro che un macabro scherzo ordito ai suoi danni.
L’ultimo Halloween insomma racconta di come, in alcuni casi, non ci sia rimedio per le proprie azioni. Con questo romanzo, senza dubbio uno dei più cupi della collana, Stine veicola una severa morale: nella vita è raro avere seconde possibilità. La struttura di fiaba nera di diversi Piccoli Brividi è portata alle massime conseguenze, con un rovesciamento delle aspettative. Per farlo, l’autore va a porre al centro della vicenda la tematica della morte, un (parziale) tabù della collana, e accompagna il lettore verso un finale tanto duro quanto perfettamente coerente con quanto raccontato in precedenza. Brandon pensava di poter ingannare gli spiriti, simulando il proprio riscatto, senza rendersi però conto di essere lui oggetto di un inganno.
Lo stile di scrittura non è altrettanto maturo ed elaborato. Stine aveva ormai perfezionato uno stile semplice, diretto, che ben si prestasse alle sue incessanti tempistiche di lavoro. Proprio per questo il ritmo va a risultare, in particolare nella seconda metà, un po’ troppo accelerato.
Se L’ultimo Halloween avesse potuto godere dello stile cupo, quasi adulto, di storie come La casa della morte, sarebbe stato senza alcun dubbio il Piccoli Brividi più inquietante della serie originale.