Povere Creature!, film di Yorgos Lanthimos basato sulla sceneggiatura non originale di Tony McNamara, è la trasposizione dell’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Gray. Il romanzo Poor Things, a sua volta, è una rilettura (tra le altre cose) del capolavoro gotico Frankenstein o il moderno Prometeo, il mitico romanzo della scrittrice, saggista e filosofa Mary Shelley, compagna del famoso poeta inglese Percy Shelley.

La storia di Mary e Percy è in realtà estremamente rocambolesca: i due si conobbero quando lei, primogenita del saggista e scrittore politico William Godwin (filosofo tardo illuminista e preromantico), aveva solo 16 anni e lui, discendente di una famiglia aristocratica, era già sposato. I futuri coniugi Shelley si innamorarono e fuggirono in un lungo e rocambolesco viaggio attraverso l’Europa, affrontando problemi di liquidità e costantemente inseguiti dai creditori, con al seguito Claire, la sorellastra di Mary, e il peso di una gravidanza che si conclude con la nascita prematura di un figlio che morirà quasi subito. Aperti ad un amore poliamoroso e portatori entrambi di istanze socialiste e liberaliste, i due girano l’Europa in più momenti, passando per Francia, Svizzera e Italia. La loro fu una vita libera ma segnata da numerose tragedie, come l’allontanamento del padre di lei, la morte di una successiva figlia e infine quella di Percy. Ma perché vi sto raccontando tutto questo? Semplicemente perché molti di questi elementi tornano e hanno estrema importanza nell’economia del film di Lanthimos.

Prima di tutto il cognome di Mary da nubile: Godwin, come il nome del novello dottor Frankenstein che (ri)dà vita alla protagonista e che quindi ne diventa padre acquisito. Ma Godwin è soprattutto il padre della Shelley, un tardo illuminista sì dalle idee vicine all’anarchismo, ma soprattutto un intellettuale convinto che il mondo si potesse spiegare solo guidati dalla ragione. Idee, queste, che indubbiamente rispecchiano il modo di vedere il mondo (e la realtà) del personaggio del film.

In secondo luogo le istanze sociali(ste), (poli)amorose e libertine che animano i coniugi Shelley, che Mary in parte aveva ereditato dai genitori e che in parte aveva fatto proprie – non senza difficoltà – attraverso il percorso di vita intrapreso a fianco di Percy, sono le stesse che crescono e poi esplodono in Bella. Per non parlare di quel figlio perduto troppo presto, che nel film diventa un bambino mai nato sintesi stessa del personaggio, e del lungo e avventuroso viaggio che, come Mary, Bella intraprende tanto alla ricerca di sé stessa quanto alla scoperta di un mondo che non conosce e che le appare misterioso e affascinante.

Inoltre Mary Shelley, figlia di colei che viene ritenuta l’antesignana del femminismo (la filosofa Mary Wollstonecraft), fu ella stessa simbolo di emancipazione femminile, non per attivismo nel campo né in particolare per il contenuto delle sue opere (anche se qualche traccia di femminismo è presente in Frankenstein). Piuttosto, Mary Shelley, fu simbolo di donna indipendente, madre “single “ e scrittrice che lotto per farsi riconoscere come autrice donna e che rinunciò persino a una rendita assicurata promessa dal suocero dopo la morte di Percy pur di non perdere la propria libertà. Mary era una donna curiosa, desiderosa di apprendere, di istruirsi, di diventare altro da quello che ci si aspettava da una donna dell’epoca, pur consapevole di quale fosse il ruolo a cui doveva sottostare. Tutte caratteristiche che rappresentano Bella fin da subito, forse ancor prima di (ri)nascere, ancor prima del film, ancor prima dell’iconicità che rappresenta.

BELLA, MODERNA ULISSE – MODERNA PROMETEO

Bella, creatura impegnata in un viaggio tanto interiore quanto esteriore di (ri)formazione. Bella, che guarda al mondo con uno sguardo che incarna molte teorie di Rousseau, guarda caso una delle maggiori ispirazioni di William Godwin stesso. Bella, che si fa simbolo prima del positivismo con cui interpreta tanto la bellezza del mondo quanto la sua brutalità per poi lasciarsi andare all’esaltazione dell’Io e alle istanze romantiche che scivolano verso il Decadentismo. Bella che sì, incarna le istanze di un femminismo incontaminato, ma soprattutto un sentimento di libertà universale che appartiene all’umanità in quanto specie ferale. Bella, con l’innocenza di una bambina, che scopre la vita attraverso la morte ma non accetta il male sociale, e quindi artificiale, imposto da una società soverchiante. La stessa società che, con le sue imposizioni, etichetta come folle e mostruoso, addirittura diabolico, chi ne diventa esule, chi tenta di liberarsi dalle catene della morale. Viaggio di scoperta e liberazione, quindi, il suo. Tanto della vita come brulicante insieme di esperienze, tanto dal patriarcato. Bella è sì un moderno Prometeo che auspica di portare il fuoco del cambiamento nella società umana, ma è anche una moderna Ulisse, un’avventuriera animata da un infinito desiderio di scoperta.

Bella, insomma, si rivela tanto creatura quanto incarnazione di Mary Shelley. È allo stesso tempo il mostro di Frankenstein che la scrittrice ha creato, che la scrittrice stessa. Ma Bella è anche il Dottor Frankenstein in senso lato, lei futura chirurga che con la propria scelta di vita infrange anche l’ultimo tabù della società.

UN TASSELLO IMPORTANTE DELLA FILMOGRAFIA DI LANTHIMOS

Povere Creature! è tassello importante nella terza fase del cinema di Lanthimos. Se infatti i primi film della così detta fase greca erano caratterizzati da un’opera di sottrazione che rivelava una ricerca dell’essenziale, i successivi The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro, prima parte della così detta fase americana, iniziano a riflettere con più complessità poetica e formale su un cinema lontano dagli standard europei, un cinema più “pieno” e più “carico”. Allo stesso tempo questa seconda fase non fa altro che riflettere sulla dicotomia eros & thanatos da un punto di vista maschile e quindi conciliando i due concetti in una annichilente sintesi. Il punto di svolta sarà evidentemente La favorita, con cui il regista apre il suo sguardo a un’estetica più POP e in cui inizia un percorso che sembra raggiungere il suo apice con Poor Things. Poor Things dove la dicotomia eros & thanatos acquisisce una connotazione nuova, dove ci si libera dalla morte attraverso una sessualità libera(ta), in cui gli elementi storicamente ed eticamente negativi acquisiscono un valore nuovo proprio perché liberi da qualsiasi preconcetto. Fare a pezzi le ipocrisie sociali diventa un modo per svelare le illusioni che di volta in volta sono state imposte all’umanità rendendola prigioniera.

Povere Creature! si rivela la summa del cinema di Lanthimos, quasi una pastiche: ci ritroviamo la figura del padre-padrone sviscerata dagli esordi (Dogtooth, in cui viene per la prima volta reso palese il confronto tra la sessualità opprimente come costrutto sociale e quella libera e liberatoria vissuta per se stessi), i morti che tornano in vita (presenti in maniera figurata in Alps), le trasformazioni e gli uomini-animali di The Lobster, lo scontro continuo tra scienza e magia, ma anche la rilettura del mito classico de Il sacrificio del cervo sacro. Summa che però diventa esagerata, barocca, piena. La fotografia di Robbie Ryan e le scenografie di Shona Heath, ma anche i costumi di Holly Waddington e il trucco di Mark Coulier, vengono caricati da un uso smodato del digitale agli estremi del kitsch e dalla grande varietà di lenti deformanti utilizzate. Il tutto accentua l’aspetto surreale del film ma permette anche di donargli un’anima fiabesca dall’estetica steampunk. Povere Creature! è fuori dal tempo e dallo spazio, alienante nel suo passaggio dal bianco e nero al colore, pop ma allo stesso tempo anarchico, etereo fin dalle musiche di Jerskin Fendrix.

POVERE CREATURE! = UN FILM DIVISO IN TAPPE

A suo modo estremo ed estremamente esplicito, Povere Creature! è un film diviso in capitoli, tappe della crescita della sua protagonista. Un film lungo ma non troppo che sembra risentire della sua durata in quella che potremmo definire la parte centrale, ambientata in un bordello parigino. È qui che il film di Lanthimos sembra diventare estremamente ripetitivo e monotematico, quasi a voler mostrare un gusto esagerato per l’ostentazione. In realtà la sensazione di ripetitività e il gusto per l’eccesso sembrano ciò che il regista vuole trasmettere nel punto di svolta per la protagonista. Lo spettatore forse prova la stessa noia che Bella fa propria, lo spleen che la caratterizza dopo aver conosciuto sé attraverso gli altri e attraverso il sesso. Sarà quella la molla verso la definitiva consapevolezza di quel che è ora. Un passaggio all’età adulta che si concretizzerà con la scoperta di quel che era. Perché Bella è una creatura apparentemente senza passato che potrà dirsi “finita” solo con la scoperta di quel che non è più. Scoperta che avverrà con l’epitaffio della sua identità passata rappresentata dalla simbolica morte del marito padre-padrone e da quella fisica del suo creatore dio padre fin dal nome, novello Frankenstein (e un immenso Willem Dafoe) che però, in un ribaltamento interessantissimo, oppone la propria fisicità mostruosa a quella della sua creatura bellissima.

Se ci pensiamo, tutto il film è una costante opposizione in cui concilia sé stesso. Bene e male naturale contro bene e male sociale. Bellezza e mostruosità. Virilità e fragilità. Scienza e poesia. Ricchezza e povertà. Tutti e dico tutti i personaggi di questo film sono prigionieri di una qualche dicotomia e devono confrontarsi con il loro opposto, che sia l’abbietto Duncan Wedderburn (interpretato da un Mark Ruffalo nel ruolo della vita) o l’ambigua maitresse Madame Swiney. Ma è soprattutto Bella a doverlo fare: donna e bambina, materia e spirito, corpo e cadavere, scienziata e filosofa, illuminista e romantica, borghese e “socialista”, si ritrova costantemente in bilico mettendo in luce le sue contraddizioni e quelle del mondo che la circonda, fatto di facciate e violenze sociali, maschilismo e ipocrisie, in cui si dà alibi alle nefandezze celandosi dietro l’ipocrita lente della ragione.

CONCLUSIONI

Povere Creature! è un film dalle tante sfaccettature. Grottesco e crudo, umoristico e violento, divertente e crudele, gotico e fiabesco, horror e steampunk. È un film poetico ma magniloquente, didascalico ma anche anarchico, pop e kitsch ma con un’anima cupa. Un’opera dal comparto tecnico impeccabile e caratterizzata da interpretazioni perfette, prima su tutte quella di una magnifica Emma Stone che ci mette l’anima e, soprattutto, la fisicità.

Un film assolutamente imperfetto e assolutamente sublime. Non a caso ha raccolto tanto successo quanto critiche. Povere Creature! è cinema allo stato puro: un’esperienza visiva che non può lasciare indifferenti.

a cura di Francesco Morga

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