Usciva il 7 novembre 2013 Prisoners, diretto da Denis Villeneuve. Ricco di simboli e significati e dal titolo polivalente, è un thriller ricco di suspence nato dalla penna di Aaron Guzikowski.
La Trama
E’ il giorno del ringraziamento in un tranquillo quartiere di una cittadina di provincia, in Pennsylvania. Keller Dover (Hugh Jackman) è un falegname onesto e molto credente che, assieme alla moglie Grace (Maria Bello) ed ai figli Ralph e Anna, sta festeggiando a casa degli amici Franklin e Nancy Birch (Terrence Howard e Viola Davis).
Quando le figlie minori di entrambe le famiglie Anna e Joy spariscono nel nulla, l’atmosfera gioiosa e serena svanisce improvvisamente. I sospetti ricadono immediatamente su un camper che era parcheggiato poco lontano e viene prontamente allertata la polizia. Il detective Loki (Jake Gyllenhaal) prende a cuore il caso e si troverà a scontrarsi più volte con Dover, deciso a farsi giustizia da solo dopo aver perso fiducia sulle capacità della polizia. Tutto sembra ruotare attorno a Alex Jones (Paul Dano) il ragazzone ritardato che era alla guida del camper…
Prigioni e prigionieri
Prisoners è più di un titolo, è quasi la descrizione del film. In questo lungometraggio ogni personaggio è prigioniero: del fato, delle proprie credenze, delle proprie ossessioni, delle dipendenze. E’ difficile parlare di un thriller come questo senza fare spoiler, soprattutto quando i segreti da svelare sono così tanti. La bravura di Villeneuve infatti è quella di disseminare il film di indizi ma allo stesso tempo di portare su strade diverse, moltiplicando sospetti, intrecciando casi irrisolti e paralleli e facendo dubitare più volte di tutti e nessuno senza mai rivelare l’ epilogo finale.
La regia è immersiva ed alcune sequenze davvero brillanti anche per merito di un montaggio davvero ben pensato. Il premio Oscar Roger Deakins alla fotografia contribuisce a tenere alto il livello di tecnica. Le tonalità di marrone e blu enfatizzano le ombre sui volti dei personaggi sottolineandone la sofferenza, la frustrazione e la rabbia.
I colori freddi ben rendono le ambientazioni desolate della provincia americana che, con la pioggia battente che accompagna gran parte del film, sembra voler lasciare i personaggi ancor più in balia di eventi che non possono controllare, come a toglier loro ogni speranza.
E la speranza è parte importante di questo film, come importanti sono i simboli scelti. A partire dalle preghiere e dal crocifisso inquadrato più e più volte. Quella fede fervente che accompagna il padre che, all’affannata ricerca della figlia, si trasforma in aguzzino. Il fine giustifica i mezzi? Non c’è spazio per il giudizio, si può solo riflettere sul suo comportamento e su quanto in là si possa andare per proteggere la propria famiglia. I serpenti, simbolo del peccato e del male, il labirinto, nel quale anche lo spettatore si trova a vagare, quasi alla cieca, verso la soluzione del mistero. Persino il nome del detective, Loki, non è scelto a caso. Dio norreno dell’ inganno e dell’astuzia che a volte si lascia ingannare ed a volte ha brillanti intuizioni.
Prega per il meglio, preparati al peggio.
Non c’è giustificazione negli atti violenti di Dover, ma nemmeno nel comportamento dei vicini che distolgono lo sguardo e lasciano fare. Od in quelli della mamma di Anna, talmente annientata dal dolore da dimenticare il figlio più grande e chiudersi in camera tra sonniferi e psicofarmaci. Non c’è speranza per Alex, vittima, carnefice ed infine vittima ancora. Prisoners riporta alla mente altri grandi successi e sfila facendo bella figura sulla scia di thriller come Seven, Zodiac o Mystic River. E lo fa anche grazie ad un cast all’altezza delle parti e soprattutto ai due grandi protagonisti. Hugh Jackman dimostra di essere più di artigli e basettoni e mette in scena tutta la rabbia e la disperazione di un padre di famiglia ferito nel profondo e rabbioso come un animale braccato.
Jackman gioca ad armi pari con un bravissimo Jake Gyllenhaal che, a mio parere, lo supera di un gradino in una parte che sembra cucita su misura per lui. I tic che accompagnano il suo personaggio, di cui in realtà non sappiamo proprio nulla, regalano al suo detective un’ intensità quasi tangibile. Un equilibrio tra controllo e irruenza, razionalità e impulso che è un mix perfetto per rendere un personaggio credibile e non superficiale; cosa difficile da rendere quando non si ha nemmeno un background di riferimento.
Una menzione speciale per Paul Dano che riesce a farsi odiare e compatire al tempo stesso e, seppur con pochissime parole, grazie alla sua espressività riveste il ruolo alla perfezione.