Pulse (Kiyoshi Kurosawa, 2001) è una storia di fantasmi contraddistinta dalla singolarità di una trama complessa, carica di temi significativi e imperniata su una suggestione lenta e conturbante. Rimasto per troppo tempo inedito in Italia, Pulse è adesso disponibile alla visione sul Midnight Channel di Amazon Prime Video.
Conoscenza perniciosa
Pulse racconta le possibilità e le conseguenze di un mondo in cui il confine tra la vita e la morte tende a scomparire. Le ripercussioni per i vivi sono nefaste, tanto da annientare ogni opportunità d’azione. La distopia è alimentata dal sogno informatico degenerato che oltrepassa qualunque confine, anche etico. Nei dibattiti di oggi si specula, ad esempio, sui punti d’arrivo degli xenotrapianti. In Pulse assistiamo alla conseguenza drammatica del tentativo incontrastato di dominazione dell’uomo sulla vita – della sete di varcare confini, del dominio della tecnica nella sua declinazione informatica. I risultati suonano però come tamburi ammonitori, indicativi di qualcosa che per l’uomo sarebbe meglio non conoscere. È qui che riecheggia l’eco famigliare dello scrittore di Providence:
Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo.
Howard Phillips Lovecraft (Il richiamo di Cthulhu, 1928)
Limiti in putrefazione
Macchie antropomorfe, simili a ombre, vaghi ricordi di uomini, sono l’ultimo lascito di anime che oltrepassano il confine. Presenze significative, che sbigottiscono ancor più l’uomo alle prese con un orrore incontrollabile. Sono essere umani o solo ombre? Nell’oscurità somigliano a entrambe le cose e anche di più: il segno di qualcosa che è sfuggito, strabordato, manifestazione percettibile di quanto gettare luce su antri non-umani dell’universo sia un evento chiarificatore per la creatura preda e forse vittima atemporale delle illusioni. Realtà o rappresentazione? Illusione o verità? Il recinto cannibalizzato (l’uomo che polverizza il confine dell’uomo) è rivelazione e trauma del limite.
È l’esperienza di non accontentarsi di tacere, portata all’estremo e reinventata dagli autori del film, su “quello di cui dobbiamo non possiamo parlare” (Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus). Perché le persone cominciano a scomparire? Come accade in The Leftovers – Svaniti Nel Nulla, ad andare e tornare sono gli esseri umani nella loro integrità: questo fa di Pulse un film antropocentrico, malgrado altri elementi suggeriscano il contrario.
Harue: outsider nevrotica
Secondo una tradizione consolidata dal cristianesimo, morire significa riconciliarsi con i cari perduti. Pulse delinea i contorni della teoria, per certi versi, opposta: e se morire significasse solitudine eterna? Nel film di Kurosawa non c’è spazio per alcuna illusione post-moderna o mito narcisistico di costituzione della vita senza bisogno dell’Altro. Ne è un chiaro esempio Harue, il personaggio interpretato da Koyuki Katō.
La ragazza, ossessionata dall’idea di essere sola, è una delle sviluppatrici che hanno modificato l’ingranaggio della vita e della morte, provocando catastrofi. Possiamo leggere la sua volontà come quella del dottor Frankenstein. È una outsider. Ma cosa anima il suo desiderio, configurato piuttosto come un bisogno?
Il bisogno dell’Altro
È il terrore della solitudine. Il suo è proprio quello che Lacan avrebbe definito “grido nella notte”: l’essere umano è un grido che si espande nell’ambiente disperato di una notte, senza nessun altro fine che essere raccolto, accettato, recepito, accolto dall’Altro. Solo a partire da ciò, l’uomo può formarsi e costituirsi come soggetto. Il desiderio simbolico dei sopravvissuti, alla fine, rimane quello di cercare l’Altro, anche quando le probabilità sono minime. E Mattie (Kakumi Aso), che ha stretto un legame di amicizia con Ryosuke (Haruhiko Katô), continua a considerarlo un amico anche quando le circostanze ne mostrano la paradossalità.
In ogni caso, sembra che il grido di Harue non abbia trovato accoglienza. In un dialogo con Ryosuke, Harue accenna in modo vago e senza troppa convinzione alla trascurabilità dei legami famigliari. Si può solo immaginare cosa abbia provocato in lei la scoperta della vita dopo la morte come luogo disabitato – luogo di abbandono senza tempo. Tutto questo fa di lei il soggetto più nevrotico del film, come sembrano confermare le scelte e i comportamenti adottati durante la narrazione cinematografica.
Pulse è un film degno di nota, lento nello svolgimento dei fatti, ma carico di significati. Una validissima alternativa alle comuni storie di fantasmi. Un lungometraggio che induce a riflettere, suggestivo e inquietante come pochi.
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