A un mese di distanza dall’uscita del chiacchieratissimo The Substance, è necessario ripescare dalla memoria la seconda opera targata Coraline Fargeat: Reality+. Un corto visionario (disponibile su YouTube) sul mito della bellezza e sulla sua permeabilità nel costrutto sociale.
Trama
In un presente distopico una nuova tecnologia è entrata a far parte della vita quotidiana: Reality+. Si tratta di un chip impiantato nel cervello delle persone, che permette di modificare la percezione che si ha del proprio aspetto fisico e di quello degli altri acquirenti. Un gioco di filtri di Instagram all’interno della vita quotidiana, che porta a distorcere, non solo la percezione di sè stessi, ma anche dell’intera realtà.
Recensione
Se vi è piaciuta l’ultima opera di Coraline Fargeat, allora non potete perdere questo breve ma intenso corto Sci-Fi dal titolo autoesplicativo: Reality+. Il prodotto è, infatti, il manifesto artistico della regista, la sua genuina dichiarazione di intenti che svilupperà nel successivo Revenge e nel tanto acclamato The Substance.
Regia e fotografia: un mix tra rosa glitter e rosso sangue
Reality+ è, anzitutto, la definizione dello stile registico di Coraline Fargeat. Se, infatti, nel primo corto della stessa Le télégramme, stile e movimenti di macchina sono totalmente distanti dalle opere successive, in Reality+ iniziamo a vedere tutte quelle che saranno le caratteristiche della filmografia della regista francese. Inquadrature strette sui volti dei protagonisti (soprattutto delle bellissime protagoniste), o su immagini riflesse negli specchi, verranno poi riprese nei successivi Revenge e The Substance. Un altro forte marchio di fabbrica della regista parigina, sono le contrapposizioni tra lustini, colori pop e ferite sanguinolente (si, compresa quella sulla spina dorsale). Questa dicotomia di concetti è in realtà il vero plus delle sue pellicole, soprattutto se letta in ottica femminista. La riappropriazione dei colori pastello, simbolo per antonomasia della femminilità, e quindi del concetto stereotipico di pacatezza e tranquillità associato al femminile, qui vengono accostati a sangue e dolore. Il femminile (e il femminino), riconquistano la loro dignità, in un universo diegetico in cui rosa non significa debole, ma dolore e forza di rinascita.
Riferimenti cinematografici
Che Fargeat sia una appassionata cinefila lo avevamo capito fin dalle prime inquadrature della sua opera più nota. In The Substance i riferimenti alla filmografia di Kubrick, a Carrie di Brian de Palma e a The Evil Death di Raimi, ma non solo, sono chiari e lampanti. Guardando questo Reality+ pare evidente che uno dei film preferiti della regista sia proprio 2001, Odissea nello spazio (di cui trovate la recensione qui). Nel quadro a neon presente all’interno della camera del protagonista, Vincent (Vincent Colombe), scorgiamo una sagoma che tanto rimanda alla mente la creatura presentata sul finale nel film di Kubrick.
Übermensch, oltre le umane possibilità
In Reality+, per la prima volta, Fargeat recupera il concetto nietzschano di Übermensch (oltreuomo ndr), criticandolo aspramente. Ricollegandosi a 2001 Odissea nello spazio, vediamo anche in questo corto la nascita dell’oltreuomo (per essere precisi oltre-umano, visto che mensch è un sostantivo neutro ndr). Nell’universo creato dalla regista gli esseri umani stanno aspirando ad essere la versione “più bella e più giovane” di sè stessi (anche se in Reality+ si è fermata alla sola bellezza), rischiando di perdere di vista la loro unicità. Il desiderio di adempiere al mito della bellezza, porta tanto i protagonisti di Reality+, quanto la protagonista di The Substance, a prendere delle decisioni estreme. I congegni introdotti in entrambe le pellicole, infatti, sono deleteri dal punto di vista fisico, psicologico e sociale. Comportano ferite dall’aspetto orripilante, alimentano quel senso di non accettazione di sè stessi e di ipercritica e soprattutto dettano il nostro tempo. Tanto il chip, quanto la sostanza, non possono essere utilizzati in modo continuativo, obbligando i e le protagonisti/e a dover effettuare delle scelte nella propria vita di tutti i giorni. Di fatto ci imprigionano nei nostri stessi corpi.
Genere ed età
Una delle caratteristiche peculiari di questo corto è il punto di vista adottato. Il protagonista è Vincent, un uomo dall’aspetto fisico comune e con un lavoro di poco prestigio. E’ necessario sottolineare ciò per identificare nettamente le differenti critiche mosse in questo corto e nel successivo The Substance. La fissazione verso determinati canoni estetici è più femminile che maschile e avanza con l’avanzare dell’età. Perchè questo? Beh è molto semplice. Nella nostra struttura sociale, una, se non la principale, delle caratteristiche che definiscono il valore di una donna è l’aspetto fisico, così come per un uomo lo sono la posizione sociale e la capacità di raggiungere un determinato reddito. Che piaccia o no, questo è il magico connubio tra capitalismo e patriarcato. Nel momento in cui però, un uomo non riesce a raggiungere il prestigio sociale che ci si attende da lui, l’unica altra arma che può renderlo accettabile è l’aspetto fisico. Nel momento in cui un uomo è particolarmente bello, il biasimo sul suo status sociale decade, rendendolo degno di acquisire una posizione riconosciuta all’interno della società. Questo è proprio il punto di vista adottato in questo Reality+. Abbandonando la dicotomia di genere, Fargeat decide di ribaltare il punto di vista, a favore dello sguardo maschile, ma definendo il personaggio all’interno dei limiti ben circoscritti del nostro costrutto sociale. In pratica, se Vincent avesse avuto quell’aspetto, ma fosse stato un avvocato o un CEO, probabilmente non si sarebbe mai fatto impiantare un chip nel cervello per vedersi più attraente.
Conclusioni
Fargeat usa il cinema per criticare aspramente questa tendenza della società a farci sentire continuamenti inadeguati/e. Nonostante in Revenge abbia deciso di trattare il tema della violenza di genere, questo Reality+ dimostra quanto radicato fosse il desiderio della regista di affrontare il problema dei canoni di bellezza e dei ruoli sociali imposti dalla società. Un po’ Essi Vivono, un po’ Black Mirror questo corto è decisamente interessante, soprattutto se visto con il senno di poi.
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