“Boogeyman – L’uomo nero” è un film del 2005 diretto da Stephen Kay. Scritto da Eric Kripke e prodotto da Sam Raimi, esso va ad esplorare la figura folkroristica dell’Uomo Nero, incarnazione delle paure infantili. Nonostante le recensioni ben poco generose, il film si rivelò un successo commerciale e portò alla messa in cantiere di due sequel (da non confondere col recente The Boogeyman).
A distanza di 18 anni dalla sua uscita, questa pellicola è ancora meritevole di una visione?
TRAMA
Il giornalista Tim torna nella propria città natale in seguito alla morte della madre. Qui, il giovane dovrà fare i conti con un trauma irrisolto del proprio passato: l’avere assistito alla morte violenta del padre a opera di una creatura che Tim ha identificato come il famigerato Uomo Nero usato dai genitori per incutere timore. Il ritorno fra le mura della casa d’infanzia farà sprofondare Tim in un vortice di visioni del passato ed eventi inspiegabili, mentre le sue paure vanno ad assumere tratti sempre più reali…
RECENSIONE
Boogeyman non è un bel film, almeno nel senso più oggettivo del termine. Eppure, non lo si può nemmeno definire un fallimento su tutta la linea. E’ un’opera che ha anzi i tratti di un’ottima occasione sviluppata purtroppo in maniera discutibile che non di una completa disfatta.
Innanzitutto, il soggetto e buona parte dello sviluppo sono coinvolgenti e intriganti. L’idea di costruire un film attorno al leggendario Boogeyman, inteso esattamente come quella figura terrificante che si nasconde negli armadi dei bambini dispettosi, è assolutamente valida. Anche l’utilizzo di allucinazioni/flashback che interagiscono col protagonista riesce a dare vita a un paio di scene molto riuscite.
Le ambientazioni riescono spesso ad essere genuinamente inquietanti ed evocative, specialmente quella della casa d’infanzia del nostro protagonista. L’utilizzo di una fotografia desaturata e sovraesposta nelle scene ambientate nel presente, in contrasto al calore delle visioni del passato, è altrettanto interessante. Una critica che venne mossa alla pellicola riguardava un’eccessiva derivatività della trama. In parole semplici, era tutto già troppo visto. In effetti l’idea, per come viene affrontata, può ricordare IT, solo per citare un esempio illustre. Eppure, guardando Boogeyman, si riesce comunque a venire coinvolti dagli eventi e dalle scene di tensione senza che la semplicità dell’idea vada a costituire un ostacolo.
Passando ai difetti, mai come in Boogeyman l’interpretazione dell’attore principale va a giocare a svantaggio della riuscita di un prodotto. Barry Watson, allora discretamente conosciuto grazie alla serie “Settimo Cielo”, non riesce ad esprimere alcuna emozione se non una leggera confusione. La sua espressività (per lo meno in questo specifico ruolo) è limitata a una gamma di due sole manifestazioni facciali, peraltro molto simili fra loro. Anche gli altri attori, purtroppo, sembrano allo stesso modo molto poco coinvolti.
Pare quasi di vedere un film per la televisione, girato con un budget limitato, che non una produzione destinata al grande schermo. Ironia della sorte vuole, peraltro, che Eric Kripke, responsabile del soggetto del film, nello stesso anno diede il via, sul piccolo schermo, alla sua creazione più famosa: Supernatural. Per i fan della serie, sarà facile ravvisare in Boogeyman un mood molto simile alle puntate delle prime stagioni delle avventure dei fratelli Winchester.
Ulteriore tasto dolente è la CGI con cui viene rappresentato il temibile Uomo Nero. Anche per gli standard qualitativi di (quasi) 20 anni fa, il livello degli effetti digitali risulta molto scadente. Non aiuta il fatto che nella scena dello scontro finale la mostruosa creatura venga inquadrata più volte, togliendo peraltro l’alone di inquietante misteriosità che si era creato fino a quel punto.
Lo stile di regia è fortemente in linea con le tendenze dei primi anni 2000. Stacchi molto ravvicinati e movimenti di camera velocizzati fanno sì che la pellicola possa essere accostata ai primi lavori di James Wan (Saw, Dead Silence) ma anche, in alcuni passaggi, allo stile di Sam Raimi, che ha prodotto il film. Tale stile di messa in scena può essere considerato, in base ai punti di vista, come una piacevole capsula del tempo oppure qualcosa di terribilmente sorpassato.
Curioso è infine notare come il film possieda una scena post-credits che getta le basi per un sequel, tre anni prima che i Marvel Studios iniziassero a rendere celebre l’imperativo di “non alzarsi fino alla fine dei titoli di coda”.