Quand’ero giovane e scafazzacollo (non avete le traveggole, l’ho scritto volutamente così) mi dilettavo nella sacra arte del videoludo e del darmi un tono. Ipotizzai come l’horror, nei primi duemila in una sorta di impasse fra remake mediocri e brand che si trascinavano stanchi peggio del peggior film zombi, potesse trovare sbocco in strade alternative: fumetti e videogiochi e devo dire di non essere stato smentito, anzi le aspettative con gli anni si sono allargate e abbiamo per le mani promettenti soluzioni. Ora le soluzioni sono diventate bombe a mano destinate a esploderci in faccia con la potenza inaspettata dell’oscurità pronta a inghiottirci: sì, stiamo parlando della VR e della sua Killer Application per console, Resident Evil 7.
Senza fare un excursus di come i due media hanno aiutato il nostro genere preferito, ma non è escluso che ci daremo da fare in futuro quindi avviate il vostro senso di Pavlov, ci era stato chiesto cosa ne pensavamo della VR (virtual reality) e se effettivamente risulta essere una tecnologia valida. La risposta dopo un paio di anni e alcune prove sul campo è sì.
Riferendomi esclusivamente al supporto VR per la console di mamma Sony, non perché fanboy della suddetta ma perché risulta essere la via più economica per affacciarsi a tale tecnologia, di titoli interessanti e, aspetto sul quale siamo più interessati, orrorifici ne sono stati sviluppati parecchi.
Dalla fantascienza marziana di Farpoint e quella horror di The Persistence, al rocambolesco hard boiled di Blood & Truth, alla chiassosa sparatoria zombi di Arizona Sunshine, al luna park degli orrori di Until Dawn: Rush of Blood, al ripescaggio di brand storici fra cui l’Esorcista e Paranormal Activity e la lista è ancora lunga e non di semplice esemplificazione.
Ma quale può essere quel titolo che può spingere, noi amanti del genere, a comprare a occhi chiusi questo scomodo caschetto e farci tremare e riempire le mutande? Ma proprio lui, colui che si gioca il trono del titolo indiscusso dell’horror insieme a sua maestà Silent Hill: il nostro caro ang.. ehm Resident Evil.
Resident Evil 7 è stato, ben prima del meraviglioso remake del secondo storico capitolo, il ritorno in pompa magna di Capcom nei territori a lei congeniali e una rivitalizzazione del marchio RE mica da ridere. Ispiratosi a quel famoso progetto Konami di cui vi abbiamo già parlato, il PT di Hideo Kojima (sì, ancora lui!) questa volta la saga ritorna sui binari della serie canonica dopo svariati spin off ed esperimenti (coff coff) non sempre riusciti. Ritorna l’Umbrella, non ritornano del tutto gli zombi, ma dobbiamo fronteggiare la minaccia biologica della più grande e crudele corporazione di sempre.
L’incipit e in generale tutta la prima parte del gioco si focalizzeranno su le imprese di Ethan, il nome del protagonista, per riuscire a sopravvivere alla famiglia Baker, i quali rapirono sua moglie anni fa moglie creduta morta fino al ritrovamento di un videomessaggio per il marito. Nel tentativo di risalire al luogo di ritrovamento della videocassetta, il nostro eroe per caso si ritroverà in Louisiana ad addentrasi nella magione dei Baker e recuperare la donna amata. Se vi si stampa sul volto una espressione di già sentito, non preoccupatevi, non siete i soli. Ma possiamo, posso, assicurarvi che la prima parte del gioco è davvero un’esperienza terrorizzante. La visuale in prima persona restituisce tutta la fatica e la paura di dover esplorare una magione ostile, braccati dai componenti della famiglia Baker, una dolce famigliola dedita alle violenze sugli ospiti e cibarsi dei suddetti.
Le citazioni durante tutta l’opera sono svariate: da inquadrature iniziali à la Shining, a Non aprite quella porta, la Cosa, The Evil Dead, 28 Giorni dopo e un sacco ancora zeppo di cadaveri di vari B-Movie. Giocato senza visore il titolo riesce a tenerci sulle spine sottolineando, una volta di più, come la prima parte sia un ritorno alle origini del primissimo titolo: trovare marchingegni, leve e rotelle per attivarli, recuperare armi per non sentirci soli in questo mondo crudele ostile, fuggire da creature più forti di noi. La seconda parte, quella che dovrebbe spiegare tutto, si collega al solito trend della serie, dove diventeremo degli arsenali su due gambe e cominceremo a farci beffe delle creature e del loro design poco ispirato a lunga andare e della mancanza dei nostri cari morti viventi, se escludiamo alcune rivelazioni di cui non faremo cenno in sede di articolo.
Ma è col visore VR che il titolo sprigiona tutta la sua orrorifica potenza. La possibilità di muoversi e ruotare lo sguardo a piacimento negli ambienti riprodotti, che sia la palude antistante alla magione, che siano le stanze distrutte e i corridoi diroccati, nel disperato tentativo di trovare una via di fuga specie nei momenti di concitazione pura, il mirare goffamente ai nemici ostili, il sopravvivere alle varie bossfight, tutto concorre a farci provare un’esperienza a tratti insostenibile come forse non ci capitava di provare da anni. L’immersione è totale e solo provando si può capire le sensazioni d’angoscia descritte.