Ringu (maggiormente noto come Ring) è un film horror giapponese del 1998, diretto da Hideo Nakata. La famosa mostra protagonista dai lunghi capelli neri e vestita di bianco che striscia fuori dal televisore è sicuramente tra i personaggi horror più spaventosi e iconici di sempre – secondo Thrillist è la 22esima villain più spaventosa di sempre. Il film, basato sul romanzo omonimo di Kōji Suzuki, ha dato vita ad una saga costituita da altri tre film, una saga remake americana (nota come The Ring, con l’articolo determinativo) e a uno spin-off che vede la nostra mostra, Sadako, scontrarsi contro la Kayako di Ju-On. Vediamo insieme i temi del film e la leggenda che l’ha ispirato.

Trama

La giornalista Reiko Asakawa decide di indagare su una serie di morti misteriose, avvenute per arresto cardiaco: la cosa singolare è che, ad accomunare le vittime, c’è l’aver guardato uno strano filmato su videocassetta. Anche Reiko guarda il filmato, rimanendo vittima della stessa maledizione, ovvero la morte dopo sette giorni. Lo scettico ex marito di Reiko, Ryuji, dotato di poteri sensitivi, le chiede una copia della videocassetta per analizzarla e provare a risolvere il mistero. Le ricerche condurranno i due sull’isola di Oshima, luogo in cui abitava la sensitiva Shizuko (la donna che si spazzola i capelli allo specchio nella famosa scena del filmato) insieme alla figlia Sadako. Una volta scoperte le capacità di Shizuko, le persone hanno iniziato a testarle, trattando la donna quasi come un fenomeno da baraccone, non facendosi mancare nemmeno di accusarla di essere una ciarlatana. Shizuko, scoprono Reiko e Ryuji, si suicidò poco dopo, ma la verità dietro il video è legata alla piccola Sadako, dotata anch’ella di un potere pericoloso e vittima della paura di chi le stava intorno.

Sette giorni… ancora e ancora

La maledizione di Sadako si trasmette, come un virus, attraverso un video. L’idea di un destino di morte che si propaga attraverso un elemento audiovisivo, oltre che attraverso un apparecchio presente nelle case di tutti, provoca un senso di continuo pericolo: bisogna stare attenti a ciò che si guarda. Ma è proprio il guardare, l’assediare con i propri sguardi, che ha causato in primo luogo la maledizione. Si parte da uno sguardo giudicante fino ad arrivare agli occhi sbarrati dei cadaveri delle vittime del video, in un perfetto schema circolare: c’è un cerchio sulla locandina (che rappresenta anche il pozzo-tomba di Sadako) oltre che nell’”anello” del titolo.

Ma il piano di Sadako non prevede assolutamente una chiusura nello schema, poiché la nostra anti-eroina vuole che il suo dolore viva per sempre e che il suo rancore assassino colpisca chiunque si azzardi a riprodurre il video, vittime che diventano testimoni della sua di morte, avvenuta nel silenzio e, più importante, nel buio di un pozzo (“privazione sensoriale” che riconduce sempre al campo della vista). Un cerchio, dunque, non inteso come inizio e fine che si congiungono, quanto piuttosto come un eterno ritorno. Chi riesce a sfuggire alla morte prevista dopo sette giorni dalla visione del video è solo chi permette alla maledizione di continuare, attraverso la copia della videocassetta. Scoperto il terribile modo per liberarsi dell’orrore, il malcapitato di turno si trova di fronte ad un dilemma etico, costretto a scegliere tra l’andare incontro al Tristo Mietitore o mostrare una copia della videocassetta ad un’altra persona. Ovviamente, l’ago della bilancia pende sempre verso l’autoconservazione, e il video sarà destinato a riprodursi ed essere riprodotto all’infinito.

La storia di Banchō Sarayashiki

La figura di Sadako trae origine da una storia del folklore nipponico nota come Banchō Sarayashiki o Il racconto di Okiku, la sua versione più famosa. Il nucleo di tutte le rielaborazioni della storia è costituito dalla morte ingiusta di una giovane donna, generalmente una serva, che ritorna in veste di fantasma per tormentare i vivi. La versione sopracitata narra di una bellissima serva, Okiku, che lavorava per il samurai Aoyama Tessan. Okiku ha sempre rifiutato le avances insistenti di Aoyama, e quest’ultimo decide, all’ennesimo no, di ingannarla e farle credere di aver perso un prezioso piatto che avrebbe dovuto custodire. Un crimine del genere era punito con la morte e Okiku, spaventata e all’oscuro dell’inganno, chiede perdono al samurai. Quest’ultimo le dice che l’avrebbe perdonata solo se finalmente avesse accettato di diventare sua moglie; nonostante ci fosse in gioco la sua vita, Okiku non cede al ricatto, finendo per essere uccisa e gettata in un pozzo. Il suo fantasma, come previsto dallo schema della storia, infesterà il luogo della morte e tormenterà il suo assassino.

ukiyo-e realizzato da Katsushika Hokusai 

Ringu, senza quasi mostrare nulla, fatta eccezione per l’iconica scena finale, riesce a essere veramente disturbante. In caso vogliate rispolverarlo o guardarlo per la prima volta, il film è disponibile su Amazon Prime Video.