Scary Stories to Tell in the Dark è la nuova opera diretta da Andrè Øvredal (Troll Hunter, 2010), prodotta e co-sceneggiata da Guillermo del Toro (The Shape of Water, 2017)
Scary Stories to Tell in the Dark è un’opera che richiama certamente il recente adattamento cinematografo di IT di Andrès Muschietti e la famosissima serie TV targata Netflix Stranger Things, infatti i protagonisti sono un gruppo di quattro giovani amici rappresentatati come degli outsider rispetto ai loro coetanei, tutti e quattro grandi amanti del cinema horror, le cui citazioni ai cult del genere costelleranno la pellicola: dai poster di Bela Lugosi a La notte dei morti viventi di George A Romero, uscito nelle sale cinematografiche proprio durante l’anno in cui si svolgono le vicende narrate nell’opera (1968) e che i protagonisti vedranno in un cinema drive-in la sera di Halloween durante la quale inizierà la loro avventura.
Durante quella notte decideranno di fare un’incursione all’interno di una casa maledetta dalla quale, la protagonista del film, Stella (Zoe Coletti) deciderà di portare via con sé il diario appartenuto a Sarah Bellow (Kathleen Pollard), una donna incolpata di diversi omicidi e stregoneria nel 1890, attirando sul gruppo di amici una maledizione che dovranno sconfiggere per sopravvivere.
Il film è chiaramente destinato ad un target di pubblico molto giovane, i momenti di tensione solitamente raggiungono il climax con un jumpscare spesso prevedibile e vengono alimentati dai tipici cliché del genere horror. I temi socio-politici, inoltre, verranno trattati in modo molto delicato oppure appena accennati, come ad esempio la guerra del Vietnam, le elezioni di Nixon e il razzismo che verrà particolarmente subito da Ramòn (Michael Garza), uno dei protagonisti.
Nonostante sia un horror per bambini, il film mantiene un’atmosfera seria, senza nessun momento a smorzarla; sono presenti delle creature realizzate non in CGI, ma bensì da professionisti del trucco prostetico, davvero terrificanti, rimaste fedeli alle illustrazioni presenti nella raccolta antologica omonima di Alvin Schwartz dalla quale la pellicola prende ispirazione, come ad esempio l’iconico spaventapasseri.
Il film si conclude con un finale aperto che fa capire allo spettatore la possibilità di un sequel.