“E’ unicamente quando un artista trova la sua ossessione che può iniziare a creare le sue opere d’arte più ispirate”.
Tale è la frase chiave del film Anamorph-I ritratti del serial killer. La pellicola in questione (2007, Henry S. Miller) narra la vicenda di un detective (William Dafoe) che combatte contro un assassino artista. Quest’ultimo è soprannominato ‘Zio Eddie’ e utilizza i cadaveri delle sue vittime per creare delle opere d’arte anamorfiche: visibili nella loro integralità solo da una particolare angolazione. A primo impatto, un fatto del genere potrebbe dare l’impressione di una mera trovata cinematografica. Tuttavia, alle volte, si tende ad escludere certi particolari interessanti sui killer seriali. Specialmente quello che, molto spesso, dietro al bisogno di uccidere si nasconda quello di fare arte.
Ma può davvero un assassino essere ritenuto un artista? E che rapporto intercorre tra le due figure? Le risposte più esaurienti ai suddetti quesiti sono senz’altro contenute in Omicida e artista: le due facce del serial killer (Ruben De Luca, 2006). Nel saggio in questione, infatti, si tenta di accostare il genio creativo alla follia distruttiva dell’assassino seriale: un procedimento che trova il suo punto di contatto nella convinzione di entrambi che la loro opera sia una creazione.
Inoltre, De Luca sostiene che il serial killer e l’artista attraversino le medesime fasi per portare a compimento il loro lavoro.
Dal momento aurorale (quando si concentrano sulle loro fantasie, allontanandosi dal mondo), a quello di depressione (il bisogno di rimettere in atto il processo creativo/omicidiario), le fasi si snodano secondo sette punti.
Particolarmente interessante per il caso è la storia di Danny Rolling. Conosciuto anche come Lo strangolatore di Gainesville, confessò di aver ucciso otto persone tra Florida e Louisiana negli anni ottanta e novanta del novecento. Una volta incarcerato tentò spesso il suicidio, sino a che non riuscì a trovare conforto nel disegno. Infine, riconobbe lui stesso che nel processo artistico e quello per uccidere ci fosse una correlazione. Prima di morire, affermò che: “L’artista è un’organica commistione di cuore e anima. Il serial killer è più o meno la stessa cosa”. La foto seguente illustra uno dei suoi lavori.
E chi non si ricorda di Ted Bundy? Uccisore e stupratore di almeno trenta ragazze, persino un serial killer come lui, ogni tanto, disegnava qualche paesaggio esotico.
Ted colpì dal 1974 al 1978, negli Stati Uniti. Tuttavia, di esempi simili ce ne sono a bizzeffe. Si potrebbe richiamare, a proposito, la memoria di John Wayne Gacy: assassino, torturatore e sodomizzatore con una mania per i clown. Prima di essere incarcerato nel 1978, difatti, si travestiva da pagliaccio (Pogo, il suo alter ego) e sosteneva i bambini malati negli ospedali. Nella sua vita disegnò teschi e ritratti di altri serial killer, ma in prigione divenne famoso grazie ai suoi dipinti raffiguranti clown colorati.
Anche Issei Sagawa, però, non scherzava affatto: lo studente giapponese che si trasferì a Parigi nel 1981 e uccise una donna, mangiandone poi alcune parti. Dopodiché tornò in Giappone e riacquisì la libertà. I suoi quadri angosciosi e lugubri sono tutt’ora apprezzati e venduti a prezzi molto alti. Per la curiosità e la gioia del lettore, ecco qui il link al sito dove si possono acquistare le sue opere: https://supernaught.com/collections/issei-sagawa.
Tornando in Italia, si potrebbe rievocare il nome di Pietro Pacciani (il presunto Mostro di Firenze). Il tale disegnò uomini e donne in diverse posizioni mentre facevano sesso. Lo fece sul suo libretto de La passione di Cristo, integrando il tutto con commenti rozzi e volgari.
Altra figura emblematica nel mondo del serial killer è Charles Manson. Pur non avendo ucciso nessuno personalmente, Charlie fu il mandante di alcuni omicidi nell’estate del 1967 (tra le vittime, ricordiamo l’attrice Sharon Tate). Manson dimostrò di avere una vena artistica già prima dell’arresto. Tuttavia, fu in prigione che dipinse i suoi quadri più riusciti, vicini all’astrattismo.
I suoi lavori sono dei veri e propri must per la murderabilia: il collezionismo di opere d’arte connesse ai serial killer.
Un altro posto nella lista spetta invece a Henry Lee Lucas, accusato per centinaia e centaia di omicidi nel 1983, in California. Alcuni degli assisinii sarebbero stati compiuti insieme al compare Ottis Toole. Lucas mostrò di saper padroneggiare le tecniche pittoriche, alternando scene tranquille a raffigurazioni decisamente macabre. Di seguito sono mostrati alcuni dei suoi soggetti più famosi.
“C’è un parallelismo fra l’arte e l’omicidio. Entrambi sono una questione di estetismo. Ed entrambe ti danno una strana sensazione di essere come Dio… l’arte è creazione. L’omicidio è annientamento”.
Le parole di Nicolas Claux (Parigi, 1972-1994), assassino e disegnatore abbastanza noto in Francia, sembrano rispecchiare pienamente il frutto della questione. Adesso, però, facciamo un salto più indietro nel tempo…
Nel 1888 Jack lo squartatore compì una serie di omicidi nella Londra della regina Vittoria. In tale epoca, molti pittori parvero vendere la propria anima al diavolo: divenne abbastanza comune figurare scene di dolore e disprezzo verso le donne, solitamente ispirate alle gesta di Jack. Tra tutte, però, si distinsero quelle di Walter Sickert. Le sue rappresentazioni di prostitute massacrate erano decisamente simili a quelle dell’assassino leggendario. Patricia Cornwell (una delle scrittrici gialliste più famose in America), volle andare in fondo a questa storia per provare che i due fossero la stessa persona. Ottenne un responso valido a sostegno della sua tesi e, nel 2004, ha prodotto un saggio intitolato ‘Ritratto di un assassino. Jack lo Squartatore. Caso chiuso’.
E che dire di Hitler, il Führer della Germania nazista? Rifiutato più volte all’Accademia delle Belle Arti di Vienna, abbandonò pian piano la carriera artistica, per intraprendere la via della politica. Diventò così l’artefice della morte di milioni di persone. Eppure, guardando le sue opere, può essere difficile immaginare che siano state prodotte dallo stesso diavolo sterminatore di uomini. Paesaggi urbani, nature morte, ritratti di cani… se è vero che l’apparenza inganna, probabilmente ci troviamo di fronte ad un esempio tremendamente lampante.
Nell’Italia del sedicesimo secolo, invece, nasceva Michelangelo Merisi (in arte Caravaggio).
Il suddeto uomo sarebbe diventato uno dei pittori più celebri dell’arte italiana, per poi tramutarsi in omicida. Nella sua vita travagliata, soprattutto durante gli ultimi anni, diede origine ad alcune opere particolarmente drammatiche. Si potrebbe rievocare il nome, ad esempio, di Giuditte e Oloferne (1597): il dipinto nell’immagine sottostante e già citato nello speciale Arte e Orrore. Lo stato mentale di Caravaggio, alla fine, degenerò. Divenne rissoso e violento, e si macchiò dell’omicidio di Rinuccio Tommasoni, un tale con cui aveva avuto discussioni già in passato.
Infine, si potrebbe dare per certo che esista una simmetria tra assassini e artisti.
Non si tratta di film, videogiochi o romanzi gialli: gli omicidi possono essere pianificati proprio come un dipinto. E gli autori di tali opere possono ritenersi killer o geni creativi, provando lo stesso tipo di ebrezza per qualsiasi forma abbia la loro creazione. Probabilmente, proprio come disse il filosofo tedesco Theodore Adorno: