Ultimo lavoro del maestro Mario Bava per il cinema, Shock arriva sul grande schermo negli ultimi anni di un decennio che aveva visto nascere ed affermarsi un cinema italiano fatto di rabbia, ambiguità e senso del macabro. Un genere tra il giallo, il thrilling e l’horror, cui proprio Mario Bava aveva contribuito in maniera sostanziale, diventando fonte di ispirazione per i registi a seguire.
LA TRAMA
La giovane Dora torna ad abitare nella sua villa di campagna con il figlio Marco e il nuovo marito Bruno. Il precedente coniuge, padre del piccolo, scomparso un anno prima in un incidente poco chiaro sembra però non avere del tutto lasciato la casa e alcune manifestazioni della sua presenza fanno lentamente riemergere in Dora vecchi squilibri mentali, gettando un’ombra inquietante sul suo ruolo della donna nella disgrazia accaduta.
UN RITORNO DIFFICILE
Shock chiude un discorso sulla paura che Bava aveva iniziato già negli anni ’60 con La maschera del demonio e che aveva fatto diventare il regista Sanremese punto di riferimento di un certo cinema cruento e beffardo in tutto il mondo. Storia di fantasmi e di vendetta, questo suo ultimo tassello filmico ha potuto contare sull’apporto del figlio Lamberto, che tanto si spese per aiutare il padre a tornare dietro la macchina da presa dopo alcuni film un po’ sfortunati.
LO STILE DEL MAESTRO E LO SGUARDO ALL’ ALLIEVO
E’ risaputa l’influenza che Bava ha avuto sui registi del futuro Thrilling all’italiana e non solo. Dalle efferate esecuzioni campestri di Reazione a catena (impossibile non ritrovarle in Venerdì 13) alla creazione del look tipico da assassino in impermeabile e guanti di Sei donne per l’assassino, sublimata poi da Dario Argento nei suoi primi capolavori.
Forse è proprio lo stile di Bava a venir meno in questo suo ultimo lavoro (motivo per cui molti lo accreditano più al figlio) la mancanza di quella cura per la fotografia che ne divenne marchio di fabbrica e di quell’amara ironia di fondo che si faceva un po beffa delle ipocrisie della società pur utilizzando il genere.
In Shock sembra quasi che il riferimento principale sia diventato il cinema di Argento, con inquadrature in soggettiva a nascondersi, con musiche ossessive in stile vagamente Goblin e un trauma psicologico a far da elemento scatenante all’orrore.
ALTI E BASSI
Detto questo, non è possibile resistere al fascino di questa piccola storia di follia, ambientata in un splendida villa di campagna, con pochi personaggi ad aggirarsi in una dimora che appare pacifica dall’esterno ma minacciosa dall’interno.
Splendida Daria Nicolodi (altro rimando ad Argento?) inquadrata senza filtri nella sua discesa alla follia, grazie anche ad una scena (con i capelli mossi da un’invisibile ventilatore) che testimonia tutta la bravura tecnica del regista.
Pur con qualche sequenza poco ispirata (il balletto del taglierino e il movimento dall’armadio verso la protagonista, che sembra voler omaggiare l’Esorcista ma appare più un trasloco maldestro) Shock sa regalare momenti di tensione e brivido, sfociando in un finale al contempo tragico e sospeso.
IL GRANDE VUOTO
Con Shock, nel 1977, ci lasciava Mario Bava, uno dei nostri vanti mondiali nel cinema, creatore di effetti e fotografo sopraffino che sapeva girare tutto con qualsiasi tipo di mezzo.
Resta il rimpianto di non averlo visto affrontare i successivi anni ’80, dove avrebbe potuto esplorare l’orrore con maggiore libertà creativa e sospinto da quell’entusiasmo per il genere che tanto aveva contribuito a creare.