Mamma, esiste un videogioco che riesca a coniugare una passione per la materia, un approccio innovativo e del sano terrore impossibile da dimenticare? Certo piccolo, ora copriti che questa nebbia ti entra nelle ossa: benvenuto a Silent Hill.
La fascinazione per il mondo nipponico artistico in noi occidentali è sempre stata preponderante e mai taciuta, basti notare la (ri)scoperta per il filone ero-guro nelle librerie (Ito, Kago, Maruo), il proliferare di manga e anime pronti a soddisfare qualsiasi esigenza di narrazione, in bilico sempre fra racconto di formazione e pruriti sessuali, oltre ad averci donato alcune delle saghe videoludiche horror che più hanno accompagnato le scorribande e gli incubi di molti (video)giocatori.
Citare Sweet Home (padre insieme al francese Alone in the dark del survival horror), Resident Evil, Parassite Eve, Dino Crisis, Fatal Frame, Forbidden Siren, Clock Tower e altri titoli di nicchia, seppur meritevoli di attenzioni e analisi approfondite perché frutto del desiderio e dei collezionisti del brivido, è un obbligo morale per chi ha attraversato il genere con la fortuna di chi ha potuto vivere quegli anni col joypad in mano e il cuore in gola ma anche e soprattutto, per chi vuole avvicinarsi nonostante lo scoglio dell’età e del media in costante cambiamento, col rischio di non assaporare l’evoluzione dei prodotti odierni e perdersi la ricchezza di certi dettagli in produzioni che pescano dal passato per rendere più ansioso il presente.
Silent hill però, ancora oggi a distanza da anni dall’ultimo titolo della serie, rimane una di quelle saghe ad aver sconvolto i giocatori più anziani (s)fortunati nell’aver potuto godere di titoli che pescavano a piene mani (artigliate) dall’immaginario horror occidentale, sia letterario che cinematografico (la nebbia, la cittadina vicina al lago, le vie stradali ognuna citante un famoso scrittore e/o regista, Jacob’s Ladder), con un occhio di riguardo per la psicoanalisi e l’esoterismo, la cabala e temi scabrosi come la pedofilia, la violenza domestica, il culto delle sette e i peccati che può portare in seno una comunità macchiatasi di indelebili delitti.
Questo almeno per quanto riguarda i titoli partoriti dal Team Silent, una equipe formata da veri e propri visionari nel loro ambito (dal concept, al character design delle creature alla stupenda colonna sonora ancora oggi ricordata e spesso citata quando ci si imbatte in quelle nottate dove la nebbia fa capolino…) che abbandonarono la strada maestra del survival horror tracciata dalla Capcom per Resident Evil (summa dei film di serie b e della riscoperta degli zombi di Romeriana memoria) e le direttive di Konami di creare una semplice IP che potesse cavalcare l’onda.
Il Team Silent invece agisce di testa propria e dà ai natali un’opera semplicemente avanguardista per i tempi, sia per i temi trattati, sia per la perizia tecnica, seppur lacunosa per i limiti di quella generazione di console, con l’espediente della nebbia per mascherare le inefficienze del motore grafico: mostruosi bambini deformi assalgono il protagonista, infermiere dinoccolate prive di volto e bambole/manichino ispirate alle creazioni di Hans Bellmer, piani paralleli alla realtà (?) dalle connotazioni rugginose e infernali, rumori di sottofondo, il brusio di una radiolina per indicarci la presenza di nemici, risatine infantili e armadietti aperti all’improvviso, inquietanti comprimari con un passato e una colpa da cui è impossibile fuggire e, giusto per non farsi mancare niente, pure un Baphometto ad alzare la posta della possibile censura.
Censura la quale, stranamente, decise di voltarsi dall’altra parte probabilmente perché nessuno, Konami in testa, si aspettava un successo tanto importante.
Il secondo è quello che ti riempie la pancia
Successo bissato qualche anno dopo dal secondo capitolo, che ne amplia e migliora il motore grafico (la nebbia ormai parte integrante del gioco e non più mero escamotage tecnico) e alza il tiro con una storia ancora più contorta e priva di speranza. Sì, perché dimenticavamo di dire che in Silent Hill la speranza non è di casa e, forse, per la prima volta al giocatore è chiesto di venire a patti con le sue paure, con l’accettare che il Male, per quanti sforzi tu possa fare, ha spesso radici profonde e non sempre un fucile a pompa o dei muscoli d’acciaio possono salvarti.
Anche gli enigmi seguono questa scia, abbandonando il cerca la chiave/oggetto e aziona la leva per proporre indovinelli, sequenze, ricerca di oggetti ed indizi. Si dovrà fare i conti anche con scelte morali per poter sbloccare i vari finali, che non saranno mai vere e proprie catarsi, anche nella ipotesi di raggiungere il tanto agognato quanto difficile good ending. In questo capitolo faremo anche la conoscenza di una figura chiave diventata un po’ la mascotte della serie, citata e/o plagiata anche in altre produzioni più o meno inerenti, il famoso Pyramid Head: un omaccione con una mezza tunica trascinante uno spadone più grande di egli stesso e un curioso copricapo gigantesco ricordante una piramide.
Ora è tempo di affrontare le paure
Col terzo capitolo, forse stavolta davvero pressati dalla Konami, il Team Silent decide di chiudere il cerchio e, nel momento in cui la formula del survival horror psicologico comincia a prendere piede e stuzzicare il portafoglio dei produttori concorrenti, virano verso una sorta di survival horror action, seppur nella loro maniera: atmosfere opprimenti, luna park degli orrori, poche armi, personaggi chiave del primo capitolo che ritornano per chiudere i conti.
Ma accadrà mai che Silent Hill lasci in pace chi ha avuto a che fare con lei?
Ultimo colpo di coda della saga è quel quarto capitolo, quel Silent Hill Room ancora una volta rivoluzionario, ancora una volta troppo in anticipo nei tempi per essere compreso e metabolizzato pienamente: l’alternanza fra la prima e la terza persona (espediente, quello della prima persona tipico di un altro genere di giochi, i first personal shooter, che cominciavano a rinascere dopo Half Life e che verrà ripreso nel biglietto d’addio alla saga e da Konami da parte di Kojima ma, come si suol dire, questa è un’altra triste e maledetta storia), un uso dello spazio e del tempo non convenzionale in un videogame, una frammentazione della storia e dei suoi risvolti che trova il suo compimento in svariati finali e nella difficoltà per raggiungerli, l’orrore che stavolta intrappola il protagonista, non più attirato alla famigerata cittadina dall’eco di sirena di un passato che non vuole saperne di lasciarlo in pace ma prigioniero del gioco stesso e dell’enigma da risolvere, per poter finalmente abbandonare l’appartamento che lo costringe all’isolamento dal mondo lui conosciuto.
Le colline silenziose messe a tacere per sempre
Il Team Silent si scioglierà dopo varie difficoltà nel poter portare avanti la serie, con Konami che decide di affidare il franchise a diverse software house tutte al di fuori dei confini nipponici, con titoli magari non del tutto da dimenticare, alcuni dei quali inseriti nella timeline canonica (i capitoli per la console portatile psp, con Origin e Shattered Memories, quest’ultimo degno di nota per essere una sorta di interessante reboot del primo capitolo), mentre altri che usciranno per le successive console della generazione di riferimento ma che, al di là di un certo impegno, non conservano neppure un grammo della perversione, del turbamento e delle suggestioni che il team originale riusciva a trasmettere, con la loro voglia e arroganza di sperimentare col genere e terrorizzare davvero il giocatore.
Come già accennato, l’unico epilogo degno della saga è quel PT, demo scaturita dal genio di Hideo Kojima ch’avrebbe dovuto portare nuova linfa a una saga bistrattata negli anni, con la partecipazione di Guillermo del Toro e Junji Ito. Konami ha però deciso di tagliare fuori Kojima e togliere la possibilità a chiunque di poter provare la demo (gratuita): un torto gravissimo poichè quel loop continuo di un corridoio angusto, con le sue porte da forzare, con il parlato di una radio, gli scricchiolii delle assi e le apparizioni improvvise (vere? O solo scherzi della mente del giocatore messo a dura prova) di spiriti e presenze, tutto in prima persona, sembra davvero aver turbato chiunque l’abbia giocato (e alcuni video ne sono la testimonianza diretta di quanto scritto).
Piccola nota a margine: mettiamo nella lista anche un capitolo per un’altra console portatile, Book of Memories, shooter stick con meccaniche alla Diablo e una spruzzata di rpg, titolo avulso dalla serie per meccaniche e trama. Dicono sia molto carino e rigiocabile, ma indubbiamente il marchio è solo uno specchietto per aumentare la vendita di poche copie per un titolo senza infamia e senza lode.
Ora si vocifera di un interessamento da parte di Konami per il prolungamento dei diritti delle sue IP storiche, fra cui il nostro amato Silent Hill, ma nutriamo poche speranze nella rinascita di una saga che andrebbe recuperata seduta stante da chiunque ami il nostro genere preferito.
Quindi Silent Hill è morta? Sì, probabilmente sì, ma non sentite ancora il richiamo della nebbia che vi chiama e vi chiede di inoltrarvi dentro essa? Fatelo e non ve pentirete, o forse sì, ma sarà troppo tardi per tornare indietro.
Post Scriptum: come chicca finale alleghiamo una interessantissima e completa monografia della saga da parte di un gruppo di appassionati con le mani sporche di sangue per aver sviscerato e vivisezionato la saga, arto per arto.