Speak No Evil è film diretto da Christian Tafdrup, uscito per la prima volta il 22 marzo 2022 in Danimarca e ora disponibile alla visione sul Prime Video Channel di Midnight Factory. Nel seguente articolo proveremo a scavare nelle menti dei personaggi del film e nei suoi possibili messaggi di fondo attraverso un’interpretazione psicoanalitica.
Speak No Evil: una trama semplice
Bjørn (Morten Burian) e Louise (Sidsel Siem Koch), danesi, sono in vacanza nelle campagne toscane con la piccola Agnes (Liva Forsberg), loro figlia. A rompere l’equilibrio sarà il piacevole incontro con una famiglia olandese composta dal simpatico Patrick (Fedja van Huêt), sua moglie Karin (Karina Smulders) e il figlio Abel (Marius Damslev), che per qualche motivo non può parlare. Il rapporto tra le famiglie diventa più stretto, fino a quando i danesi non accetteranno l’invito dei nuovi amici a trascorrere un po’ di tempo da loro, in Olanda. Alle prese con gli strani comportamenti degli ospitanti, Bjørn e Louise dovranno fare i conti con le proprie emozioni e una verità sconcertante che cambierà per sempre le loro vite.
Un protagonista incompiuto
Speak No Evil è un film intrigante, che presenta qualcosa di già visto: il contatto con entità esterne che cambia per sempre l’esistenza del protagonista. Ma non solo. La novità, il motivo di profondità e riflessione del film è nel monotono equilibrio destinato ad essere spezzato sia per via del carnefice che, in un certo senso, per via della vittima, la quale senza ammetterlo desidera a tutti i costi un cambiamento radicale nella propria vita. Il personaggio di Bjørn, quello che possiamo identificare come un protagonista incompiuto, è il più interessante: nel film seguiamo la sua trasformazione, da timida larva a scarabeo che non può tuttavia consolidare la sua nuova forma, la sua nuova identità, poiché gli è impedito dalle circostanze.
Desideri inespressi e pulsione di morte in Speak No Evil
A Bjørn è permesso soltanto di cominciare la trasformazione, di iniziare a liberarsi dalle costrizioni, dall’alito opprimente del Super Io. Negli sprazzi di coscienza dopo la rivelazione della possibilità di liberare le passioni – una rivelazione quasi religiosa, se si rapporta altri richiami di questo genere nel film – il personaggio appare in grado di migliorar il suo benessere psicofisico. A proposito dell’aspetto religioso, prima che Bjørn, grazie a Patrick, emetta urla di sfogo liberatorie trattenute per troppo tempo nella sua vita, quest’ultimo gli fa ascoltare una canzone olandese.
È intitolata Non c’è mai fine (“solo un angelo potrebbe cantare così”, sostiene Patrick), a ricalcare l’aspetto dell’impossibilità di soddisfare una volta per tutte la libido. Il titolo del pezzo musicale rimanda agli atti compiuti dalla coppia: quel ciclo ininterrotto di omicidi e mutilazioni che non può trovare una soddisfazione ultima. Ma il messaggio comunicato a Bjørn sembra essere più generale: una volta liberata la passionalità, in nessun caso, si potrà giungere all’appagamento totale.
È un’avvertenza, il messaggio di un uomo che vive seguendo le pulsioni (Patrick) a un uomo che non ne ha esperienza, ma convinto che per risolvere il proprio conflitto interiore debba recuperare la dimensione dell’istintualità, mettendo da parte le regole del buon comportamento (Bjørn).
“Dando libero sfogo a quello che senti, il controllo può sfuggire, anzi, è destinato a farlo, perché nel mio caso le cose sono andate in questo modo”, sembra urlare Patrick allo spettatore, “vorrai sempre di più e non potrai più fermarti”.
Ma l’istinto cieco dell’olandese e di sua moglie non ha come fine ultimo l’attuazione di un annullamento di sé, quella tendenza a ritornare a uno stato inorganico che Freud chiamerebbe pulsione di morte. La coscienza – o più probabilmente non coscienza – di non poter ottenere un soddisfacimento completo, al contrario, ha come effetto negli assassini la sempre rinnovata volontà di reiterare il piacere, un sostanziale sfogo di rabbia dalle cause non specificate nella pellicola, ricavato dagli atti insani. Il risultato è tale in quanto Patrick e Karin sono forse deviati.
Ma che effetto avrebbe avuto, in Bjørn, la liberazione dalle costrizioni, il superamento dei propri limiti? Sarebbe anche in questo caso confluita in un perverso desiderio di ripetizione? Oppure su di lui avrebbe avuto la meglio, più o meno in fretta, la pulsione di morte? O ancora: la coppia olandese e Bjørn potrebbero rappresentare solo delle fasi, punti di passaggio dal piacere che può ancora risultare appagante fino ad un successivo e inevitabile riconoscimento di una volontà di liberazione dell’Io?
Un film sincero. Serial killer e folie a deaux
Bjørn può sentirsi libero solo per pochi istanti, che non bastano a mutare una personalità dipendente dalle costrizioni da molto tempo. Il risultato è originale: come già visto, non abbiamo a che fare col tipico protagonista narrativo o cinematografico la cui trasformazione si sviluppa seguendo un preciso arco che culmina in un mutamento fondamentale per sé per gli altri. L’arco di trasformazione di Bjørn viene interrotto. È un arco singolare anche perché non trova uno sviluppo significativo per buona parte del film. E nel momento in cui comincia davvero a crescere, ecco che subisce una frenata improvvisa. Da questo punto di vista, Speak No Evil è un film realistico e sincero, che riflette l’imprevedibilità dell’esistenza e l’impossibilità di giungere a conclusioni definite di qualsiasi genere.
I seguenti paragrafi contengono spoiler
A rimarcare l’aspetto sopra citato è l’agire dei due folli finti-genitori olandesi: lo spettatore non sa perché continuino a trovare famiglie con cui instaurare un falso rapporto d’amicizia, rapirne i bambini, tagliar loro la lingua, ucciderne i veri genitori e fingere di avere una propria prole per poi ricominciare.
Possiamo ipotizzare che siano diventati folli perché non possono avere figli. I due olandesi potrebbero essere dei serial killer, provare un macabro gusto nell’uccidere e decidere di tenere i bambini delle vittime potrebbe essere, a questo punto, soltanto un modo per tenere al proprio fianco il più possibile le persone assassinate. Caratteristica, quest’ultima, di molti serial killer, tra cui il celebre Jeffrey Dahmer, come mostrato anche nella recente serie tv disponibile alla visione su Netflix: Dahmer, tra le altre cose, ammette che spargere le ceneri della sua prima vittima sul prato della casa in cui abita rappresenta un modo per tenere quel ragazzo vicino a sé.
Folie a deux?
Nella vicenda del cannibale di Milwaukee, tuttavia, è necessario tenere in considerazione la componente affettiva e sessuale che, nel caso Patrick e Karin, potrebbe mancare o presentarsi in maniera differente. I due falsi-genitori olandesi non danno prova di sperimentare alcun genere di piacere sessuale nell’assassinio, né nel privare della lingua i bambini. L’unico motivo che abbiamo di pensare qualcosa di simile, seppure in larghe misure, è che in una scena Agnes viene ritrovata nel letto tra i due genitori olandesi nudi perché non vuole dormire da sola e la porta della stanza da letto di Bjørn e Louise è chiusa. Questo renderebbe coerente il taglio della lingua ai bambini, ma non sembra rimandare alla reale ragione per cui i due uccidono e fanno propri i figli di altri.
Karin e Patrick si amano molto e non rinunciano a lasciarsi andare a effusioni amorose anche in luoghi pubblici: la loro, dunque, sembra essere più che altro una folie a deux, in cui il perverso agire non fa che incrementare l’amore e l’attrazione tra i due.
L’ambiguo rapporto tra Bjørn e Patrick
Ma spostiamo adesso l’attenzione sul rapporto tra Bjørn e Patrick. In alcuni momenti, specie all’inizio, Patrick si approccia a Bjørn attraverso giochi di sguardi e atteggiamenti tanto compiacenti da sembrare dei flirt. Il padre danese vede in Patrick qualcosa di più di un nuovo possibile amico: la possibilità di fuoriuscire dal limbo di insopportabile banalità esistenziale in cui è precipitato, anche come conseguenza della scelta di avere una moglie e una figlia. Bjørn ama la sua famiglia, ma viene da chiedersi se anche questo amore non sia condizionato da quella sorta di legge morale a cui non riesce proprio a sottrarsi. Cosa sarebbe accaduto se Patrick avesse provato ad andare un po’ più in là nel suo rapporto con Bjørn?
A prescindere dalle speculazioni, ricordiamo che Bjørn non rinuncia ad avere un rapporto sessuale con la moglie, anche quando Agnes, come già detto, è dietro la loro porta impegnata a piangere perché non riesce a dormire e vorrebbe dunque il conforto dei propri genitori. Bjørn è disposto a tutto pur di non far soffrire la figlia: lo attestano le occasioni in cui Agnes perde puntualmente il proprio coniglio di peluche e il papà si fa in quattro pur di ritrovarlo. Ma quella di Bjørn è la figura di un uomo troppo educato anche per se stesso, che reprime gli istinti e appare certamente più propenso alla sottomissione che al dominio. Anche per questo motivo, potrebbe provare nei confronti di Patrick un’attrazione, riconoscendo in quest’ultimo un uomo forte, libero, deciso e non incline alla fragilità.
Chi è veramente Patrick?
Quando Bjørn è al letto con Louise e nota che Patrick, per un attimo, li osserva, non fa nulla: non dice niente, non interrompe l’atto. È solo per non aumentare la preoccupazione della povera Louise durante il soggiorno dagli olandesi? In ogni caso, però, dalla mattina successiva Bjørn non ne appare risentito o infastidito. Inoltre, è fondamentale tenere a mente che Bjørn riesce a fare qualche passo in avanti nel suo cammino incompiuto verso l’imposizione degli istinti e l’autoaffermazione proprio grazie a Patrick. Non grazie a sua moglie. È Patrick che possiede il potere di liberarlo, è colui che può mostrargli la via.
Cosa succede quando ci prova? L’avanzata di Bjørn si interrompe: l’uomo non matura abbastanza per risolvere la situazione, nonostante l’eco di quell’ora liberatrice continui a riverberare di tanto in tanto dentro di lui, altrimenti non avrebbe, per esempio, strappato dalle mani di Patrick la radio con cui tormenta il povero Abel.
Il senso della colpa e del peccato in Speak No Evil
Il percorso appena cominciato di Bjørn non può che arrestarsi di fronte a una verità sconvolgente come quella che l’uomo scopre sul conto degli olandesi nella notte finale. Quale messaggio vuole trasmetterci questo aspetto del film? Vuol dire che per quanto ci si sforzi di migliorare non si va da nessuna parte? La nostra vita non è mai completamente nelle nostre mani? Le cose possono mettersi male in qualunque momento, a prescindere dai buoni propositi? Oppure è la situazione particolare che si crea in Speak No Evil a determinare una simile catastrofe, e dunque il processo di maturazione di Bjørn avviene solo in modo sbagliato, insano? La pellicola lascia aperte tutte le possibilità. Ma quella su cui vale la pena soffermarsi è proprio l’ultima, la quale permette di aprire uno squarcio su un’interpretazione molto più profonda.
Le conseguenze della repressione
Come poteva una strana amicizia casuale e ambigua nata in vacanza, portare Bjørn ad un cambiamento positivo per sé e per la propria famiglia? Se danesi e olandesi non si fossero incontrati, forse Bjørn prima o poi avrebbe iniziato a tradire sua moglie: non era forse sul punto di esplodere? Per quanto tempo avrebbe resistito in quello stato? È possibile che il padre danese si lasciasse andare a qualche eccesso: avrebbe cominciato a covare un qualche uovo nascosto, avrebbe avuto un esaurimento nervoso?Qualunque cosa Bjørn avesse iniziato a fare, il fine sarebbe stato il medesimo: fuggire dalla quotidianità, trovare qualcosa che rendesse la vita sopportabile e di nuovo degna di essere vissuta, sfogare l’insoddisfazione e la rabbia repressa che il demone della moralità gli imponeva di nascondere, negare, rimuovere, per continuare a comportarsi come un uomo educato e di tutto rispetto, anche a costo di essere sottomesso.
L’equilibrio psichico di Bjørn vacilla a causa della repressione degli istinti, delle pulsioni, il suo Io è impegnato in una frenetica attività di equilibrismo da una sponda all’altra della corda, ma lascia sempre che a prevalere sia il senso della morale e resta a guardare attonito, come attraverso un vetro impenetrabile, l’istintualità e i modi di espressione dell’Es. Ma nel film pian piano, senza creare troppo scompiglio come si confà a questo protagonista, l’uomo tenta di avvicinarsi a quello che pende dalla sponda tanto temuta ma ardentemente bramata. Dunque, l’avvicinamento di Bjørn a Patrick o, ancora meglio, l’apertura di Bjørn nei confronti di Patrick, il suo assenso, risulta già un piccolo progresso verso la via dell’espressione di sé.
Speak No Evil: “Non dire malvagità”
A questo punto possiamo anche pensare a Patrick e Karin come a “coloro che raggiungono i propri scopi attraverso l’abuso di mentalità fragili”, è il profitto che certi uomini o donne possono trarre dalla debolezza di altri in un momento di difficoltà. Eppure, Bjørn sembra in parte cosciente di quello che accade ed è lui stesso, soprattutto quando la sua condizione migliora, a comportarsi come se lo necessitasse. Dunque, chi è colpevole e chi no? Chi è responsabile degli orrori escogitati dalla famiglia danese? È soltanto la stessa famiglia o in parte, anche, vittime come Bjørn?
In una delle ultime scene il padre danese chiederà il motivo per cui gli olandesi compiono tali mostruosità e Patrick risponderà che sono loro, Bjorn e Louise, ad averlo concesso. Da qui, probabilmente, la scelta del titolo “Speak No Evil“: non possiamo dire malvagità, non possiamo chiamare malvagio qualcosa che noi abbiamo invitato ad entrare, abbiamo persino bramato – qualcosa a cui abbiamo concesso di modificare il nostro equilibrio. È proprio quello che Bjørn desiderava. Ma dal momento che Patrick parla al plurale, possiamo presumere che anche Louise non sia troppo felice e soddisfatta della propria esistenza.
L’atmosfera religiosa in Speak No Evil
È come se Bjørn cercasse una medicina per il corpo in un negozio di unguenti spirituali. Il suo atteggiamento, l’entusiasmo con guarda gli olandesi, soprattutto Patrick, è già sinonimo di malessere: ricerca di una via di fuga. Non troppo diverso, dunque, da quello che l’avrebbe condotto, ad esempio, a tradire la propria moglie o iniziare ad assumere sostanze stupefacenti all’insaputa della sua famiglia. Per questo motivo, è proprio come se Bjørn si fosse macchiato di una colpa, una immensa colpa – destinata a identificarsi col peccato, secondo quella atmosfera religiosa che pervade silenziosa l’atmosfera del film, tra la tensione mantenuta alta dalle colonne sonore, che conferiscono un sapore di tensione a scene che, altrimenti, ne risulterebbero quasi prive.
Un desiderio intriso di colpa, destinato inevitabilmente a sfociare nel peccato per via dell’incapacità di ammetterlo e affrontarlo come tale – incapacità dovuta ai limiti dello stesso Bjørn.
Questo è l’atteggiamento di Bjørn è destinato a lasciarsi sempre più andare a se stesso, e girandosi e rigirandosi su di sé per culminare in pensieri osceni, o più semplicemente nel pensiero rivolto a ipotesi di piacere e soddisfazione in grado di mettere in crisi il modo in cui si è vissuto fino a quel momento.
La bestia, a quel punto, ridiventa capace di guardare fuori dalle sbarre, capacità che aveva perduto, e inizia perciò a dimenarsi nella gabbia, compromettendo l’equilibrio di chi convive nello stesso spazio. Qual è la vera differenza tra Bjørn e Patrick? E se anche Bjørn, una volta distrutta la gabbia e dato piena libertà ai propri istinti, senza più la benché minima costrizione morale o di qualunque altro genere, compisse orrori del calibro di quelli di Patrick?
La lezione di Speak No Evil
La lezione di Speak No Evil non è il solito “non desiderare troppo; attento a quel che desideri; devi apprezzare quello che hai, solo quando l’avrai perduto ti accorgerai del valore di quello che hai”. Abbiamo a che fare, invece, con la drammatica fine di un uomo – e forse anche di una donna, considerato che il film si concentra soprattutto sulla psicologia di Bjørn e non sappiamo quali fantasmi possano agitare la mente di Louise (magari non troppo diversi da quelli del marito?)
È la fine di un uomo che, incredibilmente, non può sentirsi più in alto del carnefice dalla sua prospettiva, quella della vittima – vittima che fugge dal suo microcosmo a causa delle costrizioni, imprigionato dal proprio senso del dovere. E cosa faccia di un uomo una vittima, dal momento che tenta di riacquisire un motivo per tornare a sorridere in una causalità, seppur piacevole e all’apparenza irresistibile, nonostante avverta l’olezzo del marcio e sia disposto a tutto pur di avvicinarsi silenziosamente e senza creare scandalo, privo dell’audacia necessaria, a quello che desidera.
La lapidazione
È come se Bjørn, quindi, fosse colpevole. Il protagonista ha delle colpe: è il costruttore delle stesse mura che gli impediscono di respirare, perché tenta di abbatterle con un martello – dei colpetti leggeri, per non sentire troppo dolore – invece che con una pala demolitrice, perché sarebbe troppo complesso trovarne una e il processo molto più doloroso. Bjørn è consapevole di tutto questo? Dobbiamo presumere di sì e deve averlo fatto anche Patrick scegliendo la sua famiglia come bersaglio, almeno se gli olandesi adottassero un criterio di scelta, come è lecito pensare in vista delle decine e decine di foto degli assassinii, che non sarebbero rimasti impuniti se i due non fossero arguti e non agissero con attenzione.
Non è un caso, dunque, che Bjørn e Louise, alla fine del film, vengano lapidati: come accade nella Bibbia alla Maddalena per i suoi peccati. Kristen e Patrick sembrano lanciare le pietre perché sono dalla parte di coloro che, prima dell’arrivo di Gesù, scagliano le pietre in quanto non troppo coscienti d’aver peccato anch’essi. Ma soprattutto, pare che gli olandesi lo facciano con la convinzione di non essere più nel peccato rispetto a quanto lo siano Louise e Bjørn. Alla luce di questa interpretazione, si può comprendere anche il già citato scambio di battute tra Bjørn e Patrick, che a una lettura superficiale potrebbe apparire sconclusionato o come un altro mero prodotto dell’irrazionalità dei due assassini (come comunque è possibile che sia):
– “Perché fate questo?”
– “Perché ce l’avete permesso”.
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