Il 29 marzo 1987 arriva nei cinema italiani Stand by Me – Ricordo di un’estate, film destinato a diventare un cult e a segnare un’intera generazione. Sono trascorsi 34 anni da allora, ma il film di Rob Reiner, col suo ritratto onesto e senza filtri della prima adolescenza, è più attuale che mai.
Ero solo una bambina, quando vidi per la prima volta Stand by Me. Se chiudo gli occhi, riesco quasi a vedermi, in pigiama davanti al televisore, ad ascoltare col fiato sospeso quell’incipit che non avrei più dimenticato:
“Non avevo ancora 13 anni la prima volta che vidi un essere umano morto.
Fu nell’estate del 1959, molto tempo fa. Ma solo misurando il tempo in termini di anni.”
Stand by Me è la storia di un’amicizia giovanile, il racconto di un’elettrizzante avventura in mezzo ai boschi, ed è anche, per chi lo guarda giovanissimo, un primo sguardo consapevole alla fase ultima della vita di ogni essere umano. Nel film, gli adolescenti Gordie, Chris, Teddy e Vern, decidono di partire alla ricerca del cadavere di un loro coetaneo, Ray Brower. Forse fu proprio questo a colpirmi, la prima volta che vidi il film di Rob Reiner. Rimasi affascinata dal modo in cui quei quattro ragazzini, poco più grandi di me, stavano andando letteralmente incontro alla Morte (cosa li aspettava alla fine del loro cammino? Un cadavere!), e senza alcuna paura. Il gruppetto si imbarca in questa bizzarra impresa con un unico scopo: diventare degli eroi, essere i ragazzi che hanno ritrovato il cadavere di Ray Brower. Gordie, Chris, Teddy e Vern sembrano avere previsto proprio tutto, ma non hanno previsto che la loro avventura li cambierà per sempre, costringendoli a crescere troppo presto, e a confrontarsi con la morte prima che sia giunto il loro momento. Quando un treno merci rischia di travolgerli e ucciderli, sembra quasi che il fato, con una strizzatina d’occhio, dica loro: “Potete morire anche voi, proprio come Ray Brower. Nessuno è troppo giovane per morire.” Ma i quattro ragazzini non si arrenderanno e non torneranno indietro, mostrandosi resilienti come solo chi è giovane e non ancora abbattuto dalle situazioni della vita può essere. Quando, alla fine, trovano il corpo straziato di Ray Brower, Gordie e i suoi amici comprendono che non è stato il desiderio di fama ad averli condotti fin lì, ma qualcos’altro: i protagonisti dovevano vedere quel corpo freddo abbandonato vicino alle rotaie per realizzare quanto imprevedibile e crudele possa essere il destino, anche per un innocente, e per comprendere appieno il valore di una vita che ci viene data una volta sola e che, pertanto, non va sprecata.
I protagonisti di Stand by Me sono dei ragazzi perduti che diffidano del futuro. Sono quasi rassegnati all’idea di rimanere intrappolati per sempre nella loro piccola città, Castle Rock, ma sognano di andare via e di ricominciare una nuova vita altrove. Chris vorrebbe scrollarsi di dosso la fama di delinquente e la cattiva reputazione della sua famiglia che sembra precederlo ovunque, mentre Gordie, che ha una grande immaginazione e crea attraverso la scrittura dei mondi alternativi in cui rifugiarsi, non sembra prendere sul serio il suo dono. E’ Chris, il suo migliore amico, a incoraggiarlo a scrivere. A legarli è un affetto totale e disinteressato che fa di questa amicizia uno degli aspetti più toccanti del film di Reiner.
Chris Chambers e Gordie Lachance resteranno amici fino alla fine, ed entrambi riusciranno a cambiare le loro vite. Chris diventerà avvocato, e Gordie diventerà ciò che avrebbe sempre dovuto essere: uno scrittore. E’ Gordie, ormai adulto, a raccontare la loro avventura e a dire cosa ne è stato del suo migliore amico: Chris, racconta Gordie, è stato accoltellato mentre cercava di mettere pace in una rissa. Nella scena finale, mentre la voce fuoricampo di Gordie ripercorre la vicenda, il personaggio di Chris Chambers, interpretato da River Phoenix, si dissolve nella luce del mattino, confondendosi col paesaggio alle sue spalle. E’ una scena che non può fare a meno di commuovere perché così poco lontana dal reale, se si pensa che Phoenix, giovane promessa del cinema, morirà per overdose solo qualche anno più tardi.
Il film si chiude con una riflessione sulla purezza dell’amicizia giovanile. Gordie dice:
“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?”
Forse non tutti sanno che Stand by Me è stato tratto dal racconto di Stephen King Il corpo. Il corpo è un racconto che sembra cogliere alla perfezione quel senso di vuoto e di incompletezza che si prova da giovanissimi. La fuga dei protagonisti è un atto di ribellione attraverso il quale i quattro ragazzi manifestano il loro desiderio di essere parte di qualcosa di più grande. L’avventura assume così un significato simbolico, diventa per i protagonisti una sorta di viaggio iniziatico, una prova che sarà possibile superare solo restando uniti fino alla fine.
Mentre si inoltrano nei boschi, Gordie e i suoi amici iniziano a pensare concretamente al futuro, a quello che accadrà una volta che la vita li avrà separati. Chris crede che Gordie sia destinato a qualcosa di grande, a differenza dei suoi compagni. E’ lui a dire:
“I tuoi amici, loro ti trascinano giù, Gordie. I tuoi amici. Sono come quelli che ti annegano attaccandosi alle gambe. Non puoi salvarli. Puoi solo annegare con loro.”
Il ragazzo esorta il suo migliore amico ad intraprendere una strada alternativa rispetto a quella già battuta per lui, strada che rischia di bloccarlo a Castle Rock per sempre. Nel racconto di King, il sostegno del tuo migliore amico basta a salvarti la vita. Quanto è bello poter crescere insieme a qualcuno? Anche se ad un certo punto dovrai lasciartelo alle spalle, perché così va la vita, quanto è importante che quel qualcuno ci sia stato per te, e ti abbia aiutato a mettere un piede davanti all’altro quando non avevi nessun senso dell’equilibrio e non credevi abbastanza in te stesso? Infinitamente importante, ed è ciò che ci insegna The Body. Nel film, prima di separarsi, i due ragazzi si ritrovano da soli sotto la loro casa sull’albero, il loro punto di ritrovo, e quando Chris, che dubita di sé stesso, chiede a Gordie se, secondo lui, riuscirà mai ad andarsene da Castle Rock, il suo migliore amico gli risponde:
“Puoi fare tutto. Basta volerlo.”
I protagonisti si spalleggiano in questa vita in cui si nasce da soli, ma in cui, se si incontrano le persone giuste, si può decidere di fare un tratto di cammino insieme. Chris Chambers e Gordie Lachance mi hanno insegnato cos’è la vera amicizia, e di questo gliene sarò sempre grata.
The Body è una bellissima storia di crescita che tutti dovrebbero leggere almeno una volta, per riscoprirsi bambini, per ricordare che si può sempre ricominciare, che ognuno di noi ha infinite possibilità, infinite vite da vivere, prima che quello stesso treno che ha ucciso Ray Brower ci travolga e ci metta a dormire per sempre. Per riscoprire quella fiducia negli altri che si può avere solo a 12 anni, quando la vita è facile, e niente di brutto sembra mai poterci accadere.
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