Terror Take Away è il secondo film di Alberto Bogo che unisce lo slasher alla critica sociale: una storia che parla di una pizza maledetta e di un misterioso concorso lavorativo. Un lungometraggio che prima critica la società italiana e poi ne fa a pezzi i protagonisti!
Quale miglior simbolo dell’italianità all’estero se non la pizza, un piacere che unisce diverse classi sociali e tutte le generazioni. Risulta curioso che nessuno avesse mai pensato di costruirci sopra una storia horror, in particolare nel nostro Paese. Alberto Bogo con Terror Take Away porta lo spettatore nell’Italia di oggi fatta di contratti a tempo determinato ed incertezza sul futuro. Lo fa costruendo una premessa che ricorda molto La Fabbrica di Cioccolato di Roald Dahl. Il premio non sarà diventare il proprietario della fabbrica ma avere un contratto a tempo indeterminato. Anche in questo caso i concorrenti sono selezionati attraverso dei biglietti fortunati contenuti nelle pizze del signor Wonka di turno. Terence Parode non era un bambino a cui erano stati preclusi i dolci dal padre dentista, ma è un imprenditore senza scrupoli e fedifrago che ha commercializzato la sua Tinto’s Pizza in un ampia gamma di prodotti. Il suo piano sarà quello di organizzare, presso la sua villa, una serie di prove al termine delle quali solo un candidato potrà ottenere l’ambito premio.
La maledizione della pizza 237
Ammesso che questa realtà che viviamo tutti i giorni è già spaventosa di suo, dove si nasconde il vero orrore in Terror Take Away? La risposta è molto semplice: in una maledizione! Si racconta, infatti, che chiunque ordinando da Tinto’s Pizza (memorabile anche la pizza Coscarelli!) una pizza 237 e che non darà mancia al fattorino, sarà condannato a morte certa. La leggenda svela che sarà l’oscuro Max, ex fattorino della catena, a fare visita a tutti coloro che non rispetteranno questa regola. Si entra qui nello slasher più classico, con l’assassino che giocherà al gatto con il topo con le sue ignare vittime. Le sue origini ci verranno in parte spiegate, ma resta affascinante l’alone di mistero che avvolge l’enorme figura. Il fatto che la nuova carneficina si svolga, appunto, nella villa del proprietario di Tinto’s Pizza suona molto come un contrappasso dantesco. Quindi nella seconda parte del film ci ritroveremo uno slasher puro, con qualche ottima trovata splatter, che però ben si amalgama con la storia raccontata prima ed i personaggi descritti.
Una storia grottesca ed innovativa
Terror Take Away ha il pregio di essere un film che ha avuto il coraggio di presentare una storia nuova. Sono presenti molti cliché del cinema di genere, ma il contesto che crea attorno ai protagonisti rende tutto molto godibile. Personalmente avrei voluto vedere qualche prova in più nella prima parte, che risulta importante per la costruzione del racconto. Il montaggio alcune volte è addirittura troppo frenetico, invece risulta godibile quando il film si prende i suoi tempi. Merito anche di un cast azzeccato e soprattutto in parte. Momenti di dialogo e le loro interazioni sono accompagnate anche da una buona colonna sonora. Nonostante mi sia piaciuta la regia, ho trovato molti movimenti di camera a mano eccessivamente mossi. Il tutto risulta comunque sempre chiaro e comprensibile, facendo empatizzare lo spettatore con i personaggi. Molto buoni anche gli effetti speciali, in un paio di occasioni anche molto azzeccati.
La metafora del consumismo è servita
Alberto Bogo, riprendendo la lezione di George A. Romero, in Terror Take Away ci porta all’eccesso tutti quelli che sono i difetti del consumismo di massa. L’aver scelto come elemento di critica un’azienda che produce pizze e svariati accessori al gusto della stessa è emblematico. Il ruolo di Terence rappresenta l’italiano che si è arricchito sulle spalle di altri, sottopagando i suoi dipendenti e pensando di fare un’opera di bene ad indire un concorso per un posto fisso. Visto il successo dei suoi piatti non mancherà di commercializzare anche altri prodotti, arrivando anche ai profilattici al gusto pizza, per guadagnare sempre di più essendo consapevole che i clienti acquisteranno qualsiasi cosa marchiata Tinto’s. La vendetta arriverà proprio da Max the Killer, vera metafora di cosa una società iper-consumistica possa portare e generare.