La Bête (The Beast) è stato presentato in anteprima mondiale alla 80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il 3 settembre 2023. Dopo più di un anno esce ufficialmente in alcune sale italiane questo 21 novembre con I Wonder Pictures. Bertrand Bonello costruisce una storia che si dipana su tre linee temporali, esplorando un amore tumultuoso che attraversa il tempo. 

La storia segue i destini intrecciati di Gabrielle (interpretata da una magnetica Léa Seydoux) e Louis (George MacKay), amanti che si ritrovano e si perdono in epoche diverse: il 1910, il 2014 e un futuro distopico ambientato nel 2044.

The Beast

Il loro incontro nella Parigi della Belle Époque, è carico di mistero: Louis rivela a Gabrielle che si sono già conosciuti in passato, e lei gli disse qualcosa che lo aveva profondamente turbato. Chi ha visto il capolavoro L’anno scorso a Marienbad (1961) avrà sicuramente ripensato a quell’incipit così suggestivo e affascinante. Gabrielle, nel frattempo, è perseguitata da una paura paralizzante, quasi viscerale, di un male imminente: la bestia (The Beast) evocata dal titolo. 

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The Beast si apre con una sequenza tanto straniante quanto rivelatrice, un’attrice (Léa Seydoux) urla contro un aggressore invisibile sul set di una scena girata davanti a un green screen. Questo prologo mette subito in chiaro i temi portanti dell’opera: l’inquietudine generata dal progresso tecnologico, l’angoscia per un pericolo che non si materializza mai del tutto, e l’intersezione tra queste dimensioni. Bonello sfrutta questo inizio per connettere il processo stesso di creazione cinematografica alla condizione esistenziale dell’uomo moderno, la lotta contro minacce immaginarie, l’alienazione tecnologica e l’isolamento emotivo. E come aveva fatto con il suo straordinario Nocturama (2016) – dove il terrorismo si scontrava con la cultura del consumismo – anche qui il regista esplora il modo in cui le nostre paure modellano le scelte e i sistemi che costruiamo. Il tema dell’umanità digitalizzata, che era già centrale in Coma (2022), ritorna attraverso un’ironia cupa e inquietante, come nella scena in cui Gabrielle consulta una medium online, aggiungendo un’altra nota surreale alla narrazione. 

The Beast

Ispirato al racconto The Beast in the jungle di Henry James, il film diventa una meditazione profonda e inquietante su ciò che scegliamo di esprimere e ciò che rimane inespresso: emozioni represse, paure ancestrali, il peso ineluttabile del fato. Percepiamo il passato come un qualcosa che tormenta costantemente la protagonista. Come nel racconto di James, ci concentriamo su due persone che si incontrano in momenti cruciali della loro vita. Lui vive con la convinzione ossessiva che un evento straordinario e terrificante stia per abbattersi su di loro: “Qualcosa lo aspettava, nascosto nei meandri dei mesi e degli anni, come una bestia accovacciata nella giungla” scriveva James. Bonello riprende questo concetto centrale e lo trasforma, donandogli una dimensione contemporanea e spingendolo verso una riflessione più ampia. La bestia diventa molte cose: un predatore, un reietto sociale, un presagio funesto che vola attraverso una finestra aperta come un corvo annunciatore di sventure. The Beast si muove tra fedeltà al testo originale e una reinvenzione creativa che prende la forma di un’espressione libera, costruendo sulle fondamenta letterarie per esplorare la condizione umana attuale. Qui la bestia non è solo una figura simbolica, ma un riflesso delle paure moderne radicate nella nostra immaginazione, nel trauma del passato o nel terrore dell’incerto.

There must be beautiful things in this chaos”  

Il pensiero di Gabrielle che guida l’intera opera.

A tenere insieme questo complesso intreccio narrativo e simbolico è l’intensa interpretazione di Léa Seydoux, che incarna Gabrielle con una vulnerabilità tangibile e un’emotività essenziale e impeccabile. È lei il cuore enigmatico del film, con il suo portamento, la sua aria perennemente insoddisfatta e quella sua eleganza senza tempo. Anche nei momenti di maggiore surrealismo, Seydoux riesce a mantenere un legame profondo con il pubblico, comunicando con un semplice gesto il conflitto tra desiderio e paura che domina il personaggio.

The Beast

La tensione tra Gabrielle  e Louis (George MacKay) si avverte sin dai loro primi incontri, come quello in un salotto parigino del 1910: i due si osservano e si muovono l’uno intorno all’altra, in un gioco sottile di attrazione e diffidenza. Il 2014 ci trasporta in una Los Angeles contemporanea, catturata con uno stile moderno, mentre il 2044 diventa il fulcro visivo e narrativo del film. Qui, in un mondo distopico dominato dalla tecnologia, il futuro è presentato con un’estetica che ne amplifica l’alienazione e il disorientamento. L’intelligenza artificiale sembra governare l’umanità con un processo di purificazione genetica volto a cancellate ricordi o emozioni. Ogni epoca è resa unica con un’estetica visiva distinta: nel 1910 le riprese sono state fatte in 35mm, donando un’atmosfera da dramma storico, mentre quella del presente riflette l’essenzialità del cinema contemporaneo diventando più minimalista e asettico nel futuro.

Due persone incapaci di realizzarsi attraverso diverse esistenze, persone incompiute, insoddisfatte, di un amore malato che si nutre delle loro paure. Nei frammenti del passato e nei lampi del futuro, Bonello lascia che il racconto di Gabrielle e Louis si sviluppi come un’eco persistente. Ogni epoca svela frammenti di una relazione che oscilla tra attrazione e rinuncia, paura e desiderio. Man mano che la narrazione si sposta nel tempo, il surrealismo s’intensifica, con simboli e personaggi che si ripetono nei vari periodi, creando un senso di continuità e di déjà vu. Un espediente funzionale per sottolineare la ciclicità e l’inevitabilità della lotta esistenziale di Gabrielle, rendendo ogni epoca un riflesso dell’altra.

The Beast

Il simbolismo sa essere criptico e inquietante e il regista dimostra di avere quella sensibilità necessaria per un approccio così onirico e destabilizzante. Simboli e presagi s’intrecciano con il fluire delle tre linee temporali. Le bambole, replica inquietante dell’essere umano, attraversano ogni epoca della storia: nel 1910, il marito di Gabrielle possiede una fabbrica di bambole, luogo in cui Louis le accompagna per una visita. Di fronte ai volti statici e inespressivi degli oggetti, concepiti per piacere a tutti, si intravede il primo accenno al vuoto emozionale che diverrà centrale nel segmento futuristico del 2044. Altri motivi simbolici ricorrenti – oltre alle bambole – sono il piccione (un messaggero, o la Bestia?), una medium/chiromante e la canzone Evergreen di Roy Orbison (altro rimando a David Lynch che ha usato canzoni di questo iconico cantante). Questi totem non solo tengono Gabrielle aggrappata al suo mondo ma la tormentano ovunque vada.

Le immagini si distorcono con glitch improvvisi, creando un effetto di rottura che rispecchia le crepe esistenziali al centro del film, traducendo visivamente il caos emotivo e concettuale della trama. Tra le influenze principali, Bonello prende ampiamente spunto da David Lynch, soprattutto per la parte ambientata nel 2014 in cui Gabrielle si muove in un paesaggio surreale e inquietante. Il film assume un’atmosfera criptica, dove la ricerca di connessione umana di Gabrielle è costantemente ostacolata dalla sua solitudine esistenziale. La ritroviamo in luoghi di svago ma non fa che sfiorare gli altri, trascinata da un desiderio che la allontana da una vera presa di coscienza.

Nel finale, The Beast sembra evolvere in qualcosa di molto più profondo e destabilizzante. Qui è impossibile non ripensare al finale di Twin Peaks: The Return, un’opera totale per quanto riguarda la distorsione temporale e la rottura della quarta parete. Quello che appare inizialmente come un semplice momento di disorientamento si trasforma in un’esplosione di emozioni non contenute, che ci obbliga a confrontarci con una sensazione di catarsi, ma anche con la nostra incapacità di accettare il caos e l’incertezza della vita

The Beast

In conclusione

The Beast non è solo un film che gioca con le inquietudini del presente, ma una riflessione sulla nostra esistenza, sul bisogno di sentirci vivi anche quando ci sembra che ogni cosa stia crollando attorno a noi. Il tutto culmina in uno dei momenti di angoscia più terribili visti su schermo negli ultimi anni. Una performance di Léa Seydoux che è al contempo dolorosa e vulnerabile, destinata a imprimersi nella memoria dello spettatore e a restare a lungo dopo la visione. Un’angoscia che riecheggia, come un’esperienza intima di un’altra vita, che però sembra impossibile da scacciare.  

Un film audace, ipnotico e destabilizzante, forse la miglior opera di Bertrand Bonello insieme al suo Nocturama. In questo labirinto temporale e narrativo, il racconto di James trascende verso una riflessione sulle ansie contemporanee e sulle scelte che definiscono (o paralizzano) la nostra esistenza.

Classificazione: 4 su 5.

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