Siamo nel 2008, in occidente stiamo affrontando una delle peggiori crisi finanziarie dal 1929, quando al Festival di Cannes viene presentato in anteprima The Chaser diretto da Na Hong-jin. Un debutto come pochi prima di allora, capace di riportarci in quella spirale di vendetta che, solo qualche anno prima, aveva reso Park Chan-wook uno dei cineasti più apprezzati degli anni 2000.

Trama

Eom Joong-ho (Kim Yoon-seok) è un ex-poliziotto che si guadagna da vivere facendo il protettore. Quando alcune delle sue ragazze spariscono, Eom inizialmente penserà ad un concorrente in affari. Sarà solo quando anche Kim Mi-jin (Seo Yeong-hie), comincerà a non rispondere alle sue chiamate, che si renderà conto che qualcosa non va, iniziando una corsa contro il tempo e contro un killer spietato.

Recensione

The Chaser, letteralmente l’inseguitore, venne presentato, fuori concorso, al Festival di Cannel del 2008, innalzando fin da subito Na Hong-jing come regista di indubbie capacità. La storia è ispirata ad un fatto accaduto solo qualche anno prima in Corea: la cattura del serial killer Yoo Young-Chul. In questa splendida pellicola d’esordio, il true crime si fonde con la denuncia sociale, ricordandoci che in Corea esiste un solo ed unico sentimento possibile: la vendetta.

Il contesto storico

Durante l’analisi di Sympathy for Mr. Vengeance (che potete recuperare qui), avevamo dovuto affrontare una piccola, seppur dovuta, digressione all’interno del contesto socio-culturale della Corea del Sud dei primi anni 2000. Come in quel caso, la vicenda narrata è pressappoco contemporanea alla data di uscita della pellicola. Siamo infatti nel 2004, e se da una parte la musica k-pop[1] sta diventando di dominio globale, dall’altra la nazione del sud-est asiatico sta riemergendo dopo una delle crisi economiche più devastanti dell’intero continente[2]. Il fallimento di due delle principali conglomerate del Paese (la Hanbo Steel e la Sammi Steel[3]) hanno incrementato la disparità sociale, più di quanto ciò non fosse già insito nel tessuto sociale coreano. È sempre in questo contesto di inuguaglianza, che si insinua la vicenda di Yoo Young-Chul. La storia di uno spietato serial killer che ha deciso di vivere nel disprezzo delle norme sociali.

La vera storia di Yoo Young Chul

Fonte: Polizia Penitenziaria

La storia di Yoo Young-Chul è, anche, una storia di disparità sociale. Nasce il 18 aprile 1971 da padre commerciante e madre casalinga, nella contea di Gochang a 200 km da Seul. A soli 8 anni deve trasferirsi con quest’ultima nella capitale a seguito della separazione dei suoi genitori. Con lei vivono a Mapo, uno dei quartieri più difficili e problematici della città. La sua carriera criminale inizia a diciassette anni a seguito del furto di una chitarra. Colto in flagranza di reato, verrà condannato ad un periodo di detenzione in un centro per minori. Una volta uscito reitera il fatto e, stavolta, viene condannato a dieci mesi. Nel 2000 viene arrestato nuovamente per aver violentato una ragazza di soli 15 anni. Condannato a tre anni e tre mesi, sfrutta la situazione per prepararsi al passo successivo: uccidere. Sarà, infatti, durante questo periodo di reclusione che si informerà sulla storia di Jeong Du-young, reo di aver ammazzato 9 persone. Viene rilasciato l’11 settembre 2003 e soli dieci giorni dopo compie il suo primo omicidio. Inizialmente saranno le persone anziane i suoi obiettivi principali, per poi passare alle donne, in particolare sex-worker.

Nell’arco di meno di un anno uccide venti persone utilizzando, come principale arma, un grosso martello con cui colpisce le vittime alla testa. Il 13 dicembre 2004 viene condannato a morte. Non è mai stato dichiarato incapace di intendere e di volere ma anzi, pienamente conscio della differenza tra bene e male.

La sua storia è disponibile su Netflix: Caccia al killer con l’impermeabile giallo

Regia e altri aspetti tecnici

Una volta fatta chiarezza sul contesto storico e sulla storia che ha ispirato The Chaser, possiamo analizzare pienamente il comparto tecnico. La regia ricorda in modo spiccato, rasentando l’idolatria, quella di Park Chan-wook. Seul è dipinta come è, ma soprattutto come appare. Le continue salite e discese, le scale e i piani sfalsati enfatizzano il concetto di gerarchia sociale. Come già visto all’interno della trilogia della vendetta, ma anche nel più recente Parasite, Seul è lo specchio della società che la abita. Nei vicoli stretti è difficile scappare, dagli altri ma soprattutto da sé stessi. I suoi abitanti sono incastrati in una città che li abbraccia fino a soffocarli.

Frame tratto da The Chaser

La fotografia è buia e scura come l’anima dei protagonisti. Inseguito e inseguitore sono uno lo specchio dell’altro. Non c’è spazio per gli eroi, ci sono solo vittime e carnefici.

I riferimenti visivi sono poi inequivocabili. Sebbene il regista non lo abbia mai confermato, non possiamo negare che l’inquadratura del martello appaia come un chiaro riferimento ad Oldboy, quandanche la struttura del bagno, ricorda spaventosamente il bagno di Saw, uscito solo quattro anni prima. Tra il noir e l’horror, The Chaser si barcamena tra Memories of Murder, La Trilogia della Vendetta e l’indimenticabile film d’esordio di James Wan.

Frame tratto da Oldboy di Park Chan-wook
Frame tratto da Saw
Frame tratto da The Chaser

L’inefficienza della polizia

Uno dei temi cardine della cinematografia coreana è sicuramente l’inefficienza delle forze dell’ordine e, più genericamente, dell’intero sistema. Lo avevamo già visto con Memories of Murder e Madre, entrambi di Bong Joon-ho. Il tema viene ripreso anche da Park Chan-wook, in particolare all’interno di Sympathy for Lady Vengeance. In The Chaser ci rendiamo conto, fin dalle primissime scene, che la storia del killer Yoo Young-Chul, altro non è che un capro espiatorio per l’ennesima denuncia dell’inefficienza della polizia. Il volto del killer ci viene mostrato fin da subito, senza dubbi di sorta. Sappiamo chi è, sappiamo cosa ha fatto e lo sanno anche i personaggi del film ma non possono (vogliono) fermarlo. La sola persona, che ha intenzione di fare qualcosa di concreto, è il protagonista Eom Joong-ho, un ex poliziotto, passato dall’altra parte. L’unico modo per disgregare un sistema di corruzione è essere a propria volta corrotti. L’anti-eroe diventa eroe, lo sfruttatore diventa inseguitore in una lotta contro il tempo e contro una società disfunzionale, come le persone che ne fanno parte. In questo “mondo al contrario” il killer risulta perfettamente inserito nella rete sociale, e il viaggio del (nostro) eroe è anch’esso in direzione contraria. Non vi è ascesa, non c’è elevazione morale ma solo un tremendo rotolare verso gli abissi.

La vendetta come unico sentimento possibile

Come per il tema del sistema poliziesco, anche la vendetta è un concetto già ampiamente affrontato nel cinema coreano. Iconica e osannata è nella famosissima trilogia della vendetta di Park Chan-wook. In un percorso di crescita, il padre di Oldboy ha analizzato il sentimento come strumento di appianamento delle differenze sociali (Sympathy for Mr Vengeance), poi come sentimento puro (Oldboy) e successivamente come atto di redenzione (Sympathy for Lady Vengeance). In The Chaser abbiamo una forte ripresa dei concetti introdotti da Lady Vendetta. Il sentimento ha funzione redentiva per il protagonista e punitiva nei confronti del killer. Vendicarsi, per Eom è il modo per redimersi sì, ma soprattutto di liberarsi dal sistema corrotto a cui ha volontariamente deciso di appartenere. Vendicarsi è anche il modo per punire l’omicida per i crimini che ha commesso. Vendicarsi è, infine, l’unico modo per far svegliare dal torpore un sistema che non vuole decidersi a cambiare. La vendetta diventa così un atto politico.

Il machismo tossico di una Seul allo sbando

The Chaser è una pellicola che parla di un uomo che ammazza delle ragazze sfruttate da un altro uomo. E alla fine i due uomini si prendono a cazzotti e vengono presi a cazzotti da tutti gli altri (maschile voluto). La cultura della predominazione del più forte è alla base di questa analisi sociale. Il pubblico ministero, facendo della psicologia spicciola, identifica nell’impotenza del killer il movente dei suoi atti criminali. Non potendo avere una vita sessuale regolare, l’omicida utilizza degli strumenti dalla chiara forma fallica per “penetrare” le sue vittime. In un sistema capitalistico, come quello della Corea del sud, la predominazione del più forte sul più debole è alla base della struttura sociale. Chi sta alla base (le donne) viene schiacciato prima. Poi chi sta in mezzo (gli uomini non appartenenti alle forze dell’ordine e senza potere) e poi chi sta in cima (la polizia). In una lotta tra “capponi di Renzo” in cui, alla fine, ci si rimette tutti. L’emblema di questa lotta sociale è il siparietto legato al sindaco. In una società in cui le persone non hanno “nemmeno l’acqua per tirare la catena del water” e le ragazze muoiono massacrate, tutte le attenzioni sono rivolte ad un sindaco che ha ricevuto delle feci in faccia. E quand’anche vi sia un simbolo di religiosa speranza, esso è un uomo crocifisso.

Conclusioni

The Chaser è un film imperdibile. Capace di tenere incollati allo schermo dall’inizio alla fine, riesce a generare uno stato di ansia e di frustrazione come poche altre pellicole. Niente funziona come dovrebbe e, in certi istanti, appare più simile a una commedia degli equivoci che non un thriller. La sequenza finale è, poi, qualcosa di straziante. Recuperarlo è un obbligo, soprattutto se siete tra gli amanti del genere Asian Extreme.

“Uno degli esordi più entusiasmanti del cinema coreano contemporaneo. […] A Hollywood un film così nero e tragico oggi non potrebbe esistere”

– Paolo Mereghetti, Dizionario dei Film edizione 2021

Classificazione: 4 su 5.

Disponibile su: Prime Video

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