Dal Messico del 1673 a Los Angeles del 1973, il mito muore in un melting pot inutile.
Il regista statunitense Michael Chaves ha affermato in molte interviste di conoscere la tradizione popolare della llorona a partire dai racconti appresi durante l’infanzia trascorsa in California a contatto con la matrice messicana della Stato occidentale. M. Chaves cerca di dimostrare di frequente la propria bravura tecnica sebbene sia costretto ad arrendersi a una sceneggiatura che crea una parvenza di tensione basata unicamente sull’espediente-jumpscare: pregevoli risultano i movimenti di camera, dal piano sequenza ad apertura di pellicola alla steadycam frenetica per la soggettiva demoniaca all’angolo olandese che crea una buona simmetria di inquadrature. Di contro, la pregevole fattura risulta estremamente ripetitiva e tautologica perché tutte le soluzioni tecniche e narrative utilizzate dal regista sono riprese dal cortometraggio The Maiden – realizzato da M. Chaves nel 2016 – e riproposte in The Curse of La Llorona (La LLorona – Le lacrime del male) senza nessuna variazione registica.
Il reparto della scenografia tenta in unicum di donare identità alla pellicola: bella è la variazione cromatica nell’allestimento scenico di un altar de muertos (altare dei morti) perché si rinuncia al colore arancione, tipico delle decorazioni floreali funebri messicane, in favore di fiori di tagete bianchi e rossi in riferimento all’innocenza e al dolore causati dalla scomparsa di bambini portati via da una morte violenta. La sceneggiatura – invece – insiste su un citazionismo sterile (la presenza di foto e candele come ofrenda, l’árbol de fuego, le limpias basate sulla limpa sciamanica) relegando il film a una negativa schematizzazione del genere horror di stampo demoniaco. Voglio ripercorrere in maniera ciclica il depotenziamento orrorifico subito dal personaggio della llorona, partendo da James Wan (produttore della pellicola) per giungere – in tono amaramente ironico e sarcastico – al ruolo politico ed economico del dittatore messicano Porfirio Díaz.
Walt Disney Pictures utilizza di frequente le usanze e i costumi locali dei popoli da cui sono tratte le storie dei propri film, dalla tradizione mitologica greca in Hercules alle leggende cinesi in Mulan al folclore polinesiano in Moana (Oceania). Non di rado si verifica che la casa di animazione modifica e semplifica negativamente la cultura di un popolo; eppure Disney intelligentemente maschera queste operazioni commerciali cercando di offrire – almeno da un punto di vista estetico – un’attenta analisi antropologica sebbene il fine ultimo resti la spettacolarizzazione stessa dell’opera cinematografica. Talvolta accade che l’azienda statunitense decida addirittura di rinunciare a campagne pubblicitarie aggressive nei confronti delle secolari culture da cui nascono i suoi film: nel 2013 Walt Disney Pictures fu accusata di appropriazione culturale da un collettivo mosso in petizione sulla piattaforma Change.org dopo la decisione di registrare come proprietà intellettuale alcuni elementi del folclore messicano che sarebbero stati utilizzati in un futuro progetto di animazione. L’azienda cinematografica rinunciò alle pretese economiche e umilmente continuò il progetto in fieri concretizzatosi nel 2017 con la distribuzione del film Coco di Lee Unkrich e Adrian Molina.
In due scene del film il personaggio di Imelda Rivera canta una splendida cover della canzone La llorona: il brano presenta un arrangiamento lontano dalla struggente esecuzione popolare delle strofe eppure Alanna Ubach e Antonio Sol – i doppiatori originali del film incaricarti di eseguire i dialoghi e parte delle performance canore – riescono con successo a omaggiare la canzone senza snaturarne la struttura metrica e contenutistica. In Coco è anche presente come lode alla cultura messicana il personaggio storico di Frida Kahlo: nel 2002 la regista statunitense Julie Taymor dirige un biopic – intitolato Frida – sulla pittrice messicana interpretata da Salma Hayek; nella colonna sonora del film è presente il brano La llorona. Il componimento è eseguito dalla cantante messicana Chavela Vargas (scomparsa recentemente, nel 2012), amica della stessa F. Kahlo: C. Vargas esegue la canzone per rendere un sincero e intimo omaggio all’amica pittrice; anche il regista Pedro Almodóvar, particolarmente attento alla cura dei brani delle colonne sonore dei propri film, scelse in varie occasioni la potente voce ancestrale di C. Vargas nei film Il fiore del mio segreto (tramite il brano El último trago – L’ultima bevuta) e Kika (tramite il brano Luz de luna – Luce di luna).
In Italia i musicisti Fabrizio Cammarata e Dimartino hanno realizzato un album traducendo e cantando le opere di C. Vargas; riguardo il brano La llorona F. Cammarata offre una descrizione con timore fortemente reverenziale: «Ho quasi paura di questa canzone: secondo me è una specie di formula magica; è anche una canzone di cui non si conosce l’autore, un tradizionale nel senso più puro. In Messico c’è chi dice che l’hanno scritta dei demoni. Io starei attento a La llorona».
Gli sceneggiatori Tobias Iaconis e Mikki Daughtry non hanno probabilmente ascoltato l’ammonimento e il gentile consiglio perché hanno estrapolato dal contesto di nascita un argomento mitologico innestandolo in un terreno a esso totalmente estraneo. Il soggetto della pellicola soffre di una crisi identitaria: è uno script “garbancero”, per utilizzare una definizione messicana in riferimento alla Catrina La Calavera Garbancera (l’Elegante Scheletro) simbolo del Día de los Muertos (Giorno dei Morti) insieme alla figura di Santa Muerte (Santa Morte). La creazione mitopoietica fu opera di José Guadalupe Posada: l’illustratore e fumettista messicano crea la Catrina La Calavera Garbancera come risposta satirica alla corruzione etica e morale della società del Messico nella prima metà del Novecento, disegnando una donna messicana che preferisce assumere tradizioni e indossare abiti dell’aristocrazia europea perché prova vergogna per le sue origini locali. La figura fu utilizzata in antonomasia per indicare i messicani che imitavano in modo superficiale lo stile europeo negando la propria cultura per un tornaconto di natura economica e sociale; un’antonomasia che spinse la Catrina ad assumere la funzione di allegoria politica nelle contestazioni contro la dittatura di P. Díaz e ad assumere il ruolo di simbolo culturale nazionale grazie alla popolarità iconografica creata dai dipinti di Diego Rivera, collega d’arte e compagno di vita di F. Kahlo.
In quel colorato film di casa Disney e nel drammatico biopic d’arte e d’artista la donna che piange non si manifesta in nessuna epifania orrorifica perché relegata in un contesto sonoro e limitata in una funzione puramente musicale eppure in entrambe le pellicola la llorona riesce a generare un pathos nettamente superiore alla paura offerta dal film di M. Chaves. J. Wann commette il medesimo errore culturale di P. Díaz adattando un interessante e splendido soggetto del folclore messicano attraverso una visione combinatorista e fredda e commerciale di matrice statunitense.