Un cult tutto on the road realizzato con grande mestiere, The Hitcher – La lunga autostrada della paura, diretto da Robert Harmon nel 1986, percorre le strade del thriller per poi evolversi nelle tensioni dell’horror.. con impennate nell’action.
Il giovane Jim Halsey ha l’incarico di portare un’auto da uno stato all’altro. Durante il suo viaggio dà un passaggio ad un autostoppista, di notte, tale John Ryder. Ed il viaggio insieme comincia subito a carte scoperte: si scopre subito che in realtà John Ryder non è altro che un maniaco assassino, già ricercato. Inizia per Jim una folle odissea, in cui Ryder lo perseguita ovunque, come una vera incarnazione del male, tra le highways che tagliano i paesaggi desertici tipici degli States. Il povero Jim finirà persino in prigione, scambiato per il suo aguzzino, ma per sua fortuna nel suo spaventoso viaggio incontrerà una donna disposta ad aiutarlo e a condividere insieme il calvario, a tutta velocità.
“Hai idea di quanto sangue esce dal collo di una persona quando viene sgozzata?”
Ci troviamo dinanzi ad uno di quei titoli 80s realizzati con grande perizia tecnica ed indubbia eleganza. Non è il classico thriller e in vari momenti la pellicola finisce per assumere aspetti metafisici, con un’aura di mistero ed un lieve astrattismo che pervade il film in tutti i suoi 96 minuti. Tutti questi aspetti sono veicolati infatti dal personaggio assassino John Ryder che gioca sadicamente col nostro protagonista, assumendo caratteristiche quasi trascendentali, degne di un’entità quasi astratta dal dono dell’ubiquità: egli appare in tutti gli ambienti con disumano anticipo sulla sua vittima e non solo, le sue capacità ed azioni sono quasi sempre al di sopra di quelle delle vittime che gli si parano nel suo cammino: siano esse poveri autisti di passaggio, o un intero arsenale di tutto un distretto di polizia con tanto di elicottero alle sue calcagna.
Ma è proprio questa sospensione dalla logica che caratterizzata volontariamente il film rendendolo grande. Il tutto viene enfatizzato dalle lisergie delle straordinarie musiche sognanti (composta con pochi mezzi, tra l’altro: vari synth, una tromba e qualche campionatura), a volte dalle dinamiche minimali, dalle note che si fanno più dilatate e con cupi, misteriosi ed armoniosi interventi di tromba, strumento prediletto di questo compositore, Mark Isham (compositore/autore, di cui è impossibile non ricordare i suoi album da puro musicista solista, come Vapor Drawnings, la suite Tibet e il suo progetto prog/swing con Tony Levin e David Torn).
In questa pellicola assistiamo a un susseguirsi di momenti di alto cinema nell’uso del puro linguaggio artistico: dentro una cornice fotografica magistrale, troviamo la scena dell’arrivo di John Ryder che appare al nostro protagonista – inerme dall’incredulità – con un atteggiamento di sovrumano stoicismo a servirgli le chiavi della sua auto, il tutto in penombra, tagliato da una luce incerta, nel silenzio e nella polvere a condividere questo sacrale momento. Oppure quando, dopo una scena molto turbolenta, il protagonista – piegato e devastato dal turbinio di follia e violenza generata dalla continua persecuzione del suo aguzzino e dall’inseguimento della polizia insieme – con un’attitudine di piena rassegnazione, cerca con uno sguardo rivolto al cielo un aiuto disperato dall’alto. Ma è nel momento in cui nota che il sole viene immediatamente ottenebrato dalle nuvole che intuisce che il solo modo per liberarsi dal supplizio, è di poter riuscirci soltanto con le proprie forze.
Robert Harmon, è quel classico regista di talento dell’epoca che aveva tanta classe da dimostrare sul grande schermo, ma che purtroppo dovette “accontentarsi” di una carriera più televisiva.
A rendere efficace la messa in scena on the road di intensa atmosfera, ci pensa lo sceneggiatore specialista del genere, Eric Red, molto attivo in quegli anni (sua è la sceneggiatura del vampiresco “Il buio si avvicina” della Bigelow ed il bellissimo ma dimenticato “Le strade della paura” con Roy Sheider). Molto curioso il fatto che il trittico Harmon/Hisham/Red tornerà svariati anni dopo al lavoro, al completo, con il meritevole, seppur dal modesto esito rispetto le aspettative, thriller stradale (chi l’avrebbe detto?) “Highwaymen – i banditi della strada” del 2004, con Jim Caviezel.
A detta dello stesso Rutger Hauer, la parte che ebbe in questo film è quella a cui è più affezionato di tutta la sua carriera, oltre a quella del famoso replicante di Scott.
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