Il 27 novembre 2022 è uscita in esclusiva mondiale sulla piattaforma MUBI la terza e ultima stagione della serie iconica The Kingdom, firmata dall’enfant – ormai non più tanto – terrible del cinema: Lars Von Trier. Presentata alla 79esima mostra del cinema di Venezia, The Kingdom Exodus è una forma di esorcismo del dolore che sta affliggendo il regista danese.
Trama
La serie The Kingdom è stata così potente da riuscire ad influenzare Karen, una donna sonnambula che una notte si ritroverà davanti alle porte dell’ospedale danese più famoso al mondo. Le porte del Regno si stanno riaprendo e con esse verranno liberate le malvagità contenute al suo interno.
Un’innata passione per le trilogie
Come già anticipato, The Kingdom Exodus è il terzo capitolo della serie The Kingdom, la cui prima stagione uscì nel 1994 e la seconda nel 1997. Lasciata in sospeso per più di vent’anni non è, tuttavia, mai stata accantonata del tutto. D’altronde è nota la passione di Lars per le trilogie (ufficiali od ufficiose). Sue sono, infatti:
- La trilogia europea (L’elemento del crimine, Epidemic ed Europa);
- La trilogia del cuore d’oro (Le onde del destino, Idioti, Dancer in the dark);
- La trilogia americana (Dogville, Manderlay, La Casa di Jack);
- La trilogia della depressione (Antichrist, Melancholia, Nymphomaniac).
Chiunque abbia letto altri miei articoli sa quanto sia viscerale e profonda la mia ammirazione per questo regista e quindi voglio sottolineare qui come queste trilogie siano anche frutto del desiderio di catalogare le opere di Von Trier e, pertanto, non si può accantonare il profondo collegamento tra Nymphomaniac e La Casa di Jack (per ulteriori approfondimenti vedere articolo su Nymphomaniac).
Il ritorno dietro la macchina da presa
Tuttavia, il ritorno di Lars al set non è dettato unicamente da un profondo desiderio di conclusione ma anche dalla necessità di esorcizzare il male che da qualche tempo lo sta affliggendo. Come risulta evidente ascoltando le parole tremolanti e incerte del piccolo diavolo danese alla Biennale di Venezia, i sintomi del morbo di Parkinson (diagnosticatogli a metà di questo anno) lo hanno portato a scegliere un progetto, a suo dire, “semplice”.
“Non sono in un bel momento della mia vita e ci sarebbero stati/potevano esserci tanti bei progetti su cui lavorare ma The Kingdom sembrava il più semplice da affrontare. […] è stato un piacere girarlo e mi sono divertito molto nel farlo, spero di essere riuscito a trasmetterlo agli spettatori”.
Lars Von Trier alla conferenza stampa della 79esima edizione del Festival di Venezia
Nota è, poi, la paura incondizionata di Von Trier circa gli ospedali. Decidere di girare una serie tv all’interno di un ospedale per 12 settimane, in un momento in cui la sua salute è cagionevole, è sicuramente stato un metodo per esorcizzare i suoi demoni. Ancora una volta il “cinema” diventa ancora di salvezza per il nostro amato Lars che, butta in esso tutto il suo cinismo verso la vita e il mondo, fornendoci opere iconiche pregne di sagace black umor e pillole di irrefrenabile sarcasmo.
Le modifiche rispetto al progetto originale
È stato sempre durante la conferenza stampa della Mostra del Cinema di Venezia che il regista danese ha ammesso un certo cambio di rotta rispetto al progetto originale. Questa scelta è stata dettata, in parte, dall’arco temporale intercorso rispetto alle prime due stagioni e, in parte, per la morte di alcuni attori cardine, tra cui Ernst-Hugo Järegård (Helmer) e Kirsten Rolffes (Sigrid Drusse). Il cambio non è solo nella trama ma anche nell’impianto registico. Nel corso degli anni Lars si è allontanato notevolmente dal suo manifesto (il Dogma95) di cui la prima e la seconda stagione erano evidenti messe in opera (nonostante la prima stagione sia antecedente la pubblicazione del manifesto le sue caratteristiche permeano The Kingdom fin dalla prima stagione). Nonostante vi siano dei richiami allo stile originario, il passaggio ad una modalità di regia meno rigida alle ferree regole del Dogma pare evidente, rendendo più fruibile il prodotto. Per i puristi del primo Lars probabilmente questo può apparire un affronto, eppure io non posso negare che il “nuovo” Von Trier sia estremamente affascinante. L’intera spiegazione della sua filmografia e del suo mutamento viene affrontato all’interno della pellicola “La casa di Jack” del 2018 in cui, sfruttando la storia del serial killer interpretato da Matt Dillon, Von Trier elabora una complessa metafora sull’artista e sull’evoluzione della sua carriera.
“Il fatto è che dopo diversi omicidi (da leggere come film NdR), il mio disturbo ossessivo compulsivo diminuiva ed ho iniziato ad incorrere in rischi maggiori”
– Jack rivolgendosi a Verge in “La casa di Jack”
Il Dogma era la confort zone giovanile in cui Lars si rifugiava per non rischiare di perdersi. Il suo abbandono non è un modo per adattarsi alla massa ma, piuttosto, un’evoluzione, una presa di consapevolezza.
The Kingdom: il Twin Peaks di Von Trier
Da sempre si parla di The Kingdom come il Twin Peaks europeo e, d’altra parte, ben nota è la grandissima influenza che l’opera di Lynch ha avuto su quella di Von Trier. Anche in questa ultima stagione non sarà da meno. Già dal trailer possiamo notare come i due inservienti affetti da sindrome di down siano stati sostituiti da Jesper Sørensen, ragazzo di 24 anni affetto da progeria o sindrome di Hutchinson-Gilford. L’aspetto del ragazzo è incredibilmente simile a quello del “The Man from another place” della serie americana. Inoltre, il ritorno, dopo anni di assenza, non può che ricordarci la terza stagione di Twin Peaks uscita nel 2017.
Conclusioni
Mi ha fatto male vedere la conferenza alla Biennale, vedere un Lars Von Trier fortemente debilitato da una malattia che potrebbe ingabbiare una mente così brillante impedendogli di esprimere tutta la sua forza creativa. The Kingdom Exodus non è solo la degna conclusione di una splendida serie ma anche il simbolo della volontà di un uomo di non mollare, di non farsi sopraffare e soprattutto di cercare di affrontare i propri demoni con l’unica arma in grado di vincerli: il cinema.
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