The Kingdom – Il regno (in originale Riget) è una miniserie televisiva di quattro episodi del 1994, ideata da Lars von Trier, coscritta da von Trier e Niels Vørsel e codiretto da von Trier e Morten Arnfred. Von Trier dirige anche un sequel, sempre di 4 episodi, nel 1997. E nel 2022 arriva anche la terza parte, The Kingdom: Exodus, presentata al Festival di Venezia in anteprima mondiale.
Trama
A Copenhagen, l’ospedale chiamato “Il regno” sorge su quella che una volta era una palude in cui le persone erano solite candeggiare gli abiti. Oggi, anche se non c’è più alcuna traccia di quel luogo e di quella attività, delle presenze differenti sono ancora avvertibili all’interno dell’ospedale. Quando, infatti, l’anziana signora Drusse (Kirsten Rolffes), madre di uno degli infermieri dell’ospedale, viene ricoverata, si inizieranno a verificare inspiegabili fenomeni paranormali. Drusse, che sostiene di avere poteri da sensitiva o comunque di riuscire a comunicare con gli spettri, viene attirata in particolare dal pianto di una bambina che proviene dalla tromba dell’ascensore e decide di indagare per liberare lo spirito della piccola dal suo dolore. Nel frattempo, diverse storie si diramano all’interno dell’ospedale. Il neurochirurgo svedese Helmer (Ernst-Hugo Järegård), persona sgradevolissima e pure razzista, tenta di coprire le prove di una colpa passata, distruggendo tutti i documenti del caso: il dottore, infatti, ha causato danni cerebrali permanenti ad una ragazzina dopo aver effettuato su di lei un intervento delicato. Il dottor Bondo (Baard Owe) tenta di convincere i familiari di un paziente terminale, affetto da cancro al fegato, a donare il suo fegato all’ospedale per il bene della ricerca; dopo aver ricevuto una risposta negativa dai familiari, i quali credono che le vere intenzioni di Bondo non siano davvero nobili, quest’ultimo decide di tentare una folle via secondaria per ottenere quell’organo malato. La neurochirurga Judith Petersen (Birgitte Raaberg), infine, inizia a rendersi conto che la sua gravidanza sia in realtà anomala – e collegata in qualche modo allo spettro della bambina scoperto da Drusse.
Sospesi nella “loggia nera”
Una serie anomala e ibrida come The Kingdom ha rivoluzionato la storia della serialità, un po’ come ha fatto David Lynch con Twin Peaks. Non a caso, von Trier stesso cita Twin Peaks, insieme ad una miniserie francese intitolata Belphegor, come ispirazione per The Kingdom. La serie ha infatti un’aura di sospensione, a tratti onirica, e l’eco lynchiana è visibile anche in piccoli dettagli come la “loggia” dei dottori (che richiama, come saprete, la famosissima Loggia Nera) e nella presenza di von Trier stesso che, alla fine di ogni puntata, parla con lo spettatore da una posizione “al di fuori” (e con una pesante tenda alle spalle che, ancora una volta, richiama la Loggia lynchiana). The Kingdom non è categorizzabile in maniera netta in alcun genere: è una storia di fantasmi, è un medical drama decostruito e dissezionato, e non manca un pizzico – bello abbondante – di umorismo nero. Anche la regia è peculiare, molto “shaky” a causa della camera a mano, quasi come se fosse un (finto)documentario, con un uso ricorrente di inquadrature oblique e primi piani; altra caratteristica che rende la serie unica e subito riconoscibile è l’adozione di un tono color seppia. Insomma, The Kingdom è senza alcun dubbio un’esperienza a 360 ° da non perdere, opera di un giovane von Trier che solo qualche tempo dopo avrebbe raggiunto la fama mondiale.
Per andare più nel dettaglio, seguiranno SPOILER
“Accettate il bene con il male”
The Kingdom costruisce un parallelismo tra quelle che appaiono come le due storie principali: quella del dottor Helmer e quella della spiritualista Drusse. Colpisce immediatamente, per ovvie ragioni, l’opposizione ideologica tra i due personaggi. Da un lato abbiamo infatti un medico che crede fermamente nella scienza e si rifiuta di prendere sul serio la signora Drusse quando parla di fantasmi e spiritismo. Se questo può essere comprensibile, per il resto il personaggio è totalmente deprecabile. È egoista, narcisista e per nulla aperto al dialogo e al cambiamento, men che meno se c’è bisogno addirittura di ammettere una colpa. Helmer, infatti, anche nel confronto con la madre della piccola paziente Mona (quella cui ha causato danni permanenti) si dimostra freddo e privo di empatia, interessato solo a far sparire le prove per salvare la faccia. Tutto ciò non senza l’aiuto della compagna, la dottoressa Mortensen, che lo supporta e non perde occasione per carezzare il suo ego. Sarà proprio la dottoressa, amante della naturopatia, ad introdurre Helmer al mondo del voodoo haitiano. Helmer, infatti, dopo aver deriso la compagna più e più volte per le sue credenze, rimane affascinato dalla possibilità di creare zombies e dunque di ‘togliere di mezzo’ i propri nemici. Insomma, le pratiche magiche e i rimedi alternativi catturano improvvisamente l’attenzione del dottore quando di mezzo c’è l’interesse personale, rivelando tutta la sua ipocrisia.
Dall’altro lato, Drusse è lo speculare di Helmer: fortemente convinta dell’esistenza di un mondo ‘aldilà’ e dell’importanza della sua guida spirituale per dar pace alle anime tormentate, è una persona altruista che vuole conoscere la storia della bambina fantasma per aiutarla a riposare in pace. Questa è la storia più triste e inquietante che si intreccia anche con altre, in particolare con quella di Judith. La causa della morte della bambina, che si chiamava Mary, non fu davvero la tubercolosi: ad ucciderla, negli anni 20 del Novecento, in quello stesso ospedale, fu un dottore che era in realtà suo padre, Åge Krüger (comparsata eccezionale di Udo Kier). L’uomo, per nascondere alla moglie l’esistenza di quella figlia illegittima avuta con un’altra donna, decise infatti di liberarsene permanentemente.
Il male però, si sa, non muore mai. Anzi, si rincarna continuamente. Capirete a cosa sto facendo riferimento, perché la scena di quel parto mostruoso penso che non abbia mai abbandonato neppure la vostra memoria, come la mia. In fondo, von Trier stesso alla fine di ogni puntata ci invita a prepararci ad accettare “il bene insieme al male”. Nel microcosmo dell’ospedale, questo piccolo ma paradigmatico “regno”, il bene e il male sono infatti due forze che si compenetrano e che permeano ogni aspetto del reale, e il regista ce lo sbatte in faccia con la sua ironia pungente e cinica. Quando parlo di una contrapposizione tra Helmer e Drusse, tra ipocrisia e altruismo, è bene specificare che lo sguardo di von Trier non è mai giudicante. Lui si limita a seguire i personaggi, a riprendere, a rinviare allo spettatore ciò che accade scomparendo.
La serie corale segue dunque le vicende di un gran numero di personaggi, molti di più di quelli elencati brevemente di sopra. La costante, che fa da collante tra i vari episodi e le varie esperienze, oltre al commento di due lavapiatti che riassumono e spiegano ciò che accade, è sempre l’ironia. Il culmine della paradossalità e dello humour nero e dissacrante ci sarà proprio nell’ultima puntata ma la tensione continua tra bene e male, tra riso e inquietudine, non si risolve mai: l’ultimissima scena sterza ed è probabilmente tra le più inquietanti e assurde viste sul piccolo schermo, preparatoria per ciò che verrà dopo.