Ci siamo “imbucati” al Trieste Science+Fiction Festival per vedere tante succulente novità tra cui The Pink Cloud, primo lungometraggio della regista brasiliana Iuli Gerbase. Un film che vi colpirà dentro, perché la tematica trattata è più attuale che mai.

Trama

Giovana (Renata de Lélis) e Yago (Eduardo Mendonça) sono due ragazzi single. Dopo una serata di baldorie finiscono a letto insieme. Quello che non sanno è che una terribile nuvola rosa, capace di uccidere dopo soli dieci secondi di esposizione ad essa, è in procinto di spargersi in città. Questo li costringerà a un lockdown forzatamente condiviso.

Recensione

Cosa pensereste se vi dicessi che nel 2017 una giovane regista esordiente ha ideato un film su un lockdown? Tre anni prima della terribile esperienza vissuta da tutti noi, la Gerbase è stata in grado di immaginare e riportare su grande schermo tutte le sensazioni, i dubbi, le perplessità e gli aspetti psicologici di un lockdown prolungato. Un film talmente realistico da risultare, nell’era Covid, profetico ed estremamente inquietante. Ma procediamo con ordine.

Il colore rosa

L’aspetto sicuramente più lampante, e allo stesso tempo caratterizzante della pellicola, è l’uso massiccio del colore rosa. Nonostante la regia non sia niente di nuovo, l’utilizzo di tale tinta in modo così significativo è in grado di caratterizzare profondamente il film e, contemporaneamente, di instillare in noi sentimenti contrastanti. Il rosa è, infatti, abitualmente utilizzato per indicare la femminilità, incarnata nella figura di Giovana, indiscussa protagonista della pellicola, ma anche per creare un ambiente pacifico e ovattato. Infatti, al di là dell’associazione con la femminilità, che è tipica dei paesi occidentali a partire dal primo dopoguerra, il colore rosa innesca nello spettatore sentimenti di calma, combatte lo stress, riduce l’aggressività e incute speranza. Tutti sentimenti estremamente contrastanti con quelli vissuti dai protagonisti. In aggiunta a ciò, anche la nuvola è in sé un oggetto capace di infondere in noi sentimenti benevoli. La sua apparente similitudine con il cotone o con lo zucchero filato, ci rimanda alla mente l’idea di qualcosa di soffice, dolce e accogliente. La regista paragona, in questo modo, l’aspetto rassicurante di questa nuvola alla letalità della stessa, creando una contraddizione quasi dicotomica. Come possa qualcosa di così accogliente e avvolgente essere letale è, per noi, destabilizzante.

Il parallelismo con il Covid-19

Guardando The Pink Cloud è praticamente impossibile non fare parallelismi con il lockdown del 2020. Nonostante la situazione descritta nella pellicola sia ben più drammatica rispetto a quella da noi vissuta, il senso di smarrimento iniziale, legato a una positività dettata dalla falsa speranza sulla temporaneità della situazione, che si tramuta ben presto in disperazione, ricalca di pari passo tutto quello che è accaduto solamente un anno fa.

Molto interessante è la capacità della regista di cogliere le diverse sfumature dell’isolamento, permettendoci di avere una visione a 360 gradi dello spettro delle emozioni umane. E fa ancor di più. Dato l’aspetto estremamente realistico The Pink Cloud è un viaggio che ci permette, a posteriori, di capire, non solo come noi nel nostro intimo abbiamo vissuto il lockdown, ma come possono averlo vissuto altre persone. Che voi lo abbiate vissuto benissimo o malissimo, guardando la pellicola sarete in grado di percepire e comprendere le emozioni di chi lo ha vissuto in modo opposto. Non è un aspetto facile da mettere in scena e, sicuramente, è perturbante per lo spettatore. Il mio consiglio è, infatti, di essere mentalmente predisposti a vedere The Pink Cloud, perché è una visione forte che potrebbe generare stati d’ansia o innescare meccanismi di rievocazione di sentimenti e sensazioni già vissute.

L’aspetto metaforico della nuvola

Nonostante la nostra recente esperienza ci porti quasi inevitabilmente a paragonare la storia narrata nella pellicola al Covid-19, l’intento della regista era ben altro. La nuvola è, infatti, solo un espediente. Essa può essere ricondotta a qualunque cosa che ci rinchiuda all’interno di una bolla da cui sia impossibile uscire. E, così, anche i sentimenti provati dai protagonisti possono ben essere ricondotti ad altre situazioni. La nuvola potrebbe, infatti, essere rappresentativa della depressione, che ognuno dei personaggi vive in maniera differente. C’è chi si sente incatenato, chi isolato, chi sbandato e chi ancora accolto, ricreando all’interno di una situazione di disagio una “confort zone”. Potremmo paragonare la nuvola anche alla disabilità fisica e, in tal senso, analizzare la differenza tra chi nasce con tale disabilità e chi la acquisisce nel corso della vita. Insomma, la nuvola è tutto e niente. E se, da una parte, è apprezzabile l’indesiderata similitudine con una situazione concretamente vissuta perché ci permette di capire ancor meglio i sentimenti dei protagonisti, dall’altra è estremamente limitante perché ci impedisce di avere la mente completamente sgombra e vedere nella nuvola quello che più ci aggrada.

Le mie considerazioni

Per questa recensione ho deciso di limitare lo spazio dedicato all’analisi vera e propria e dedicare più tempo alle mie considerazioni per due motivi principali. In primo luogo, The Pink Cloud è un film esperienza, qualcosa che va vissuto e di cui non ho voluto rischiare di fare spoiler. A seguire, le tematiche trattate, soprattutto a livello psicologico, sono ancora in fase di studio ed è estremamente rischioso trarre conclusioni a distanza di così poco tempo. Le conseguenze sulla nostra psiche del lockdown che abbiamo affrontato si vedranno a distanza di anni e solo allora potremo riprendere The Pink Cloud e farne un’analisi psicologica completa.

A livello cinematografico il film è visivamente molto bello. La fotografia ben curata e i colori pastello lo rendono estremamente gradevole alla vista, ricordando, per certi versi il consigliatissimo Vivarium di Lorcan Finnegan. Anche in quel caso l’uso di colori pastello, abbinato a una situazione asfissiante, permetteva al film di essere particolarmente disturbante.

La pellicola riesce completamente nel suo intento. La caratterizzazione dei personaggi è ben strutturata, nonostante l’attenzione per il personaggio di Giovana sia preponderante. Sarebbe, probabilmente stato interessante dare più spazio anche agli altri protagonisti.

E se da una parte, ho apprezzato tantissimo il fatto che sia girato in un unico ambiente, dall’altro sarebbe stato interessante vedere un po’ di più di ciò che accade anche nelle altre case. D’altro canto, l’ambientazione in un unico luogo aumenta di gran lunga la sensazione di limitazione e il senso di soffocamento.

Il film è veramente interessante sotto tantissimi punti di vista, ma ne consiglio una visione consapevole. The Pink Cloud potrebbe, infatti, rievocare in voi ricordi e sensazioni spiacevoli, anche nel caso in cui abbiate vissuto bene la situazione dello scorso anno.

Per noi consigliatissimo, un ottimo esordio per la brillante Gerbase che speriamo ci delizi con altre opere.

Classificazione: 3 su 5.

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