Il film è stato descritto da Cronenberg come molto personale, chiaramente di ispirazione autobiografica. Il progetto iniziale prevedeva una miniserie per Netflix, che ha poi cancellato il progetto in fase di sviluppo dopo aver letto la sceneggiatura dei primi due episodi.

Il film è stato presentato in anteprima il 20 maggio 2024 al 77º Festival di Cannes, in concorso per la Palma d’oro. Ho avuto modo di vederlo grazie alla rassegna Cannes Mon Amour che si è svolta a Roma. The Shrouds non ha ancora una distribuzione italiana ma speriamo che queste proiezioni italiane siano servite a smuovere qualcosa. Il precedente Crimes of the Future (2022), era più esplicito e provocatorio come film, una sorta di summa di tutte le tematiche e le ossessioni che hanno caratterizzato il suo cinema. The Shrouds invece è un Cronenberg molto più contemporaneo e profondamente malinconico. Visivamente ricorda più lo stile di Cosmopolis, con quella patina più irreale e rarefatta. 

Trama: Vincent Cassel interpreta Karsh, un imprenditore che, dopo la morte della moglie (Diane Kruger) avvenuta cinque anni prima, ha sviluppato una tecnologia che avvolge i cadaveri in un sudario in grado di trasmettere un’immagine 3D del corpo in decomposizione. I clienti possono seppellire i propri cari nel cimitero di Karsh, dove ogni lapide è dotata di uno schermo ad alta tecnologia che consente di inserire un codice nell’app Shroud Cam per visualizzare il corpo. La trama si dipana intorno alle riflessioni sulla morte e il desiderio attraverso una cornice surreale e contemplativa. Il film inizia a prendere una piega più misteriosa quando alcune tombe vengono vandalizzate (inclusa quella della moglie) e Karsh decide di investigare.

Grief is rotting your teeth

Il lutto ti sta facendo marcire i denti

Dopo la morte di sua moglie (da quasi 40 anni) Carolyn Zeifman nel 2017 inizia una lunga elaborazione del lutto che ci porta a quest’ultimo film. Questo evento ha un impatto profondo sul regista, spingendolo a confrontarsi e a cercare la riconciliazione con il suo dolore. Mette in scena una riflessione profondamente personale sulla perdita, che riesce a essere inquietante senza dimenticare che si tratta di un film sul dolore, e sul suo superamento. Non solo il protagonista Vincent Cassel è truccato e pettinato per assomigliare il più possibile a David Cronenberg, ma nelle prime scene del film, il suo personaggio esprime il desiderio di voler entrare nella bara accanto alla moglie, devastato dall’idea che lei sia sola lì dentro; un aneddoto che Cronenberg ha condiviso in passato riguardo alla sua stessa reazione alla morte della moglie. The Shrouds riflette vividamente questo processo introspettivo. E la lucidità e la consapevolezza del protagonista aumentano dal momento in cui inizia a prendere le distanze dal lutto.

Dalla realtà virtuale si passa all’intelligenza artificiale, The Shrouds appare come un incubo in un mondo dove la videosorveglianza è presente anche dopo la morte. Cronenberg riesce a creare un’atmosfera inquietante – accentuata dalla musica di Howard Shore – con un tono sommesso che prevale fino a quando gli incubi di Karsh prendono il sopravvento. “Sono stato in un posto strano e oscuro da quando Becca è morta“, dice il protagonista, e non sorprende che nelle mani di Cronenberg, quel posto diventi sempre più criptico e oscuro. Nonostante ci sia meno del body horror cronenberghiano, assistiamo al completo fallimento del corpo e la sua conseguente decomposizione. Le scene più lugubri sono quelle dove la sofferenza di Karsh si manifesta sotto forma di allucinazioni.

La recitazione può sembrare equivoca per i più inesperti, ma è in linea con gli altri lavori del regista. Vincent Cassel interpreta il ruolo con sobrietà, lasciando a Diane Kruger il compito di gestire due personaggi molto diversi: Becca resta una figura onirica, mentre Terry (la sorella) è più carnale e passionale. Intorno a loro si snoda un intreccio sempre più complesso che va dagli hacker russi agli agenti cinesi, una connessione islandese e molto altro, mentre la vita di Karsh si trasforma in un incubo geopolitico alimentato da paura e paranoia.

Ma tutti questi elementi non sono davvero rilevanti, se non per le reazioni del nostro protagonista che prende consapevolezza diventando meno ingenuo e meno paranoico. Diane Kruger è anche la voce dell’intelligenza artificiale, il personaggio/avatar che interagisce con il protagonista. Anche Guy Pearce è in parte nel ruolo del programmatore nevrotico che lavora per Karch. I personaggi sono volutamente poco sfaccettati, come a confonderli con quelli che potrebbero essere generati da un’intelligenza artificiale.

Il profondo dolore personale che permea The Shrouds non poteva che generare una trama così contorta e ambiziosa. Emergono diverse complicazioni che non sono altro che un mezzo per mettere alla prova la lucidità del protagonista. All’apparenza impenetrabile, The Shrouds è un’opera stratificata che richiede (come quasi tutti i film del regista) uno sforzo non indifferente da parte dello spettatore. Un’analisi profonda e perturbante del dolore e delle ossessioni cinematografiche di Cronenberg. Nella narrazione il vero elemento di rottura diventa la profanazione della tomba della moglie. Karsh, indagando sull’accaduto, si rende vulnerabile e pronto a rivelazioni inaspettate. Di conseguenza, emerge una trama di cospirazioni, dubbi, diffidenza e tentativi di evitare la verità.

In maniera anche piuttosto lucida, il film di Cronenberg riflette sulla morte e la costante necessità di trovare una spiegazione per le nostre disgrazie. Nonostante sia un film di un’atmosfera funebre e criptica, riesce comunque a sdrammatizzare con un sarcasmo pungente. Dietro a The Shrouds c’è sempre la consapevolezza dell’autore di giocare con le aspettative del suo pubblico più fedele (gli altri probabilmente resteranno disorientati). Dietro ai discorsi complottisti e alle allucinazioni c’è la deformazione della realtà che modelliamo lasciandoci governare dalla nostra mente. Tutto questo è esplorato con un distacco consapevole e un’umorismo sempre intelligente, che mancava nel suo film precedente, diverso ma ugualmente interessante. 

Si tratta di un Cronenberg decisamente maturo, che non definirei senile (nonostante l’età). Paradossalmente era molto più senile il cortometraggio girato insieme alla figlia, che lo ritraeva sul letto di morte. In The Shrouds non mancano chiaramente molte delle sue ossessioni, dall’amore carnale alle mutazioni del corpo, ma sono trattate con più leggerezza (volutamente dissonante) e consapevolezza. La tecnologia qui si fonde completamente con la morte, sono presenti diversi momenti filtrati attraverso schermi che finiscono quasi per confondere il punto di vista dei vari personaggi.

Aspettando una distribuzione italiana per The Shrouds, concludo con una considerazione che potrà sembrare fuori luogo ma è stato il mio pensiero durante la visione in sala: ritengo che sia un’opera ragionata per essere vista in televisione (nasceva come miniserie) più che sul grande schermo. Ancora meglio se in completa solitudine e silenzio tombale, sorseggiando una bevanda fredda.

Classificazione: 3.5 su 5.

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