Cosa avrà combinato Netflix a questo giro?
The Silence è un film horror del 2019 diretto da John R. Leonetti, distribuito da Netflix e basato sul romanzo omonimo di Tim Lebbon del 2015.
La trama parla di una improvvisa invasione di mostri alati dal punto di vista di una famiglia, composta da Hugh (Stanley Tucci) e Kelly (Miranda Otto), genitori di Ally (Kiernan Shipka) e Jude (Kyle Breitkopf), accompagnati dalla nonna Lynn (Kate Trotter) e dall’amico Glenn (John Corbett). La famiglia, in seguito alla notizia appresa dal telegiornale, cercherà riparo lontano dalla città, dove imparerà a sue spese che quegli strani pipistrelli non sono gli unici mostri che attentano alla loro vita.
Partiamo dalla cosa che interessa di più a tutti: questi strani uccellacci, dalle dimensioni di una gallina ma con artigli e denti in grado di eviscerare un essere umano. Il design è carino, la loro origine è mostrata nella prima scena del film ma sin da subito non sembrano un vero e proprio pericolo in grado di sottomettere il genere umano nel giro di qualche giorno. Vengono anche mostrati un paio di modi per disfarsi rapidamente di loro, ma nonostante tutto le più grandi città americane vengono soggiogate.
A circa dieci minuti di pellicola, viene rivelata una informazione importante ai fini dello sviluppo della trama: questi esseri sono ciechi, avendo vissuto per milioni di anni in delle caverne, e fanno affidamento esclusivamente al loro udito. Vi ricorda qualcosa?
L’idea condivisa con A Quiet Place
Di sicuro vi sarà tornato alla mente A Quiet Place, di John Krasinski e del 2018. Nonostante in quel film le creature siano enormi e provengano da una pioggia meteoritica, il fatto di basarsi esclusivamente sull’udito è una qualità condivisa dai due tipi di mostri. Anche se è più facile che Krasinski abbia preso spunto dal racconto omonimo su cui è basato The Silence, uscito un anno prima che a John venisse in mente lo script del film, le differenze tra i due mostri sono evidenti: in A Quiet Place, il senso di minaccia è tangibile in ogni frangente, con i protagonisti che fanno di tutto per evitare anche il minimo rumore.
In The Silence, per quanto temibili i pipistrelli possano essere, non evocano la stessa paura dei colleghi, risultando spesso solo un modo per vedere un po’ di azione e qualche scena di tensione, che non sfocia mai in modo deciso nel genere horror. Anche la loro abilità uditiva è abbastanza incoerente, passando dal sentire il rumore dei sassi schiacciati da una scarpa, al non udire persone che parlano sottovoce.
Per fortuna gli autori hanno pensato di mascherare con gli effetti ambientali la loro effettiva capacità di udito: alcune delle scene più convulse si svolgono sotto un temporale, stratagemma molto intelligente per permettere ai protagonisti di fare un po’ più rumore del solito senza essere sentiti.
Parlando brevemente del cast, Stanley Tucci offre una prova consistente ed adatta al ruolo non semplice di un padre che si vede costretto a mettersi sulle spalle tutto il peso della famiglia per portarla in salvo. Altra nota di merito va a Miranda Otto, che in poche scene riesce a trasmettere allo spettatore lo strazio nel vedere i propri parenti in pericolo. Bene anche Kiernan Scipka, il resto del cast è poco coinvolto e risulta un po’ troppo marginale.
Parlando della costruzione dei personaggi, per quanto non molto caratterizzati, si nota una buona logica nelle loro azioni, soprattutto in quelle di Hugh, che rischiando la propria vita pur di proteggere i suoi cari, se ne esce con un paio di stratagemmi molto interessanti e ben orchestrati che salvano la situazione in più riprese.
Altro tasto dolente del film è proprio il ruolo di Ally: sorda a causa di un incidente, questa sua disabilità è poco sfruttata e solo in un paio di casi è utile ai fini della trama, troppo pochi per avere un impatto importante sulla pellicola.
Bird Box – Hush – A Quiet Place
Questi tre film – quattro assieme a The Silence – che fanno dei sensi umani la colonna portante della loro trama, ci mostrano come si può affrontare una disabilità in una pellicola horror: quello che per me risulta migliore in questo ambito è Hush, capace di basare gli eventi esclusivamente sulla sordità della protagonista, di evolverli e far passare il suo handicap da svantaggio a arma finale. Sono proprio questi ultimi due passi che mancano a The Silence, dove la scena viene rubata dalle azioni del padre più che dalla figlia.
In Bird Box la cecità, o meglio, il privarsi della vista è necessario per sopravvivere e anche se i protagonisti sono troppo a loro agio in molte azioni complicate da bendati, l’idea è sfruttata bene e dà un tocco di originalità, tanto da far diventare la benda sugli occhi vero e proprio oggetto identificativo del film.
Anche questo manca a The Silence per elevarsi ai livelli delle altre pellicole: probabilmente se Ally non fosse stata sorda non sarebbe cambiato quasi niente nello sviluppo della trama.
Un finale scontato e tirato via
Quello che personalmente non capisco è il perché relegare solamente gli ultimi 12 minuti allo sviluppo del finale: a tre quarti del film ci accorgiamo che oltre alla minaccia dei pipistrelli ce n’è anche un’altra, umana, pronta ad attaccare la famiglia. Il problema è che le informazioni che ci vengono date sono poche e confuse: perché non viene spiegato meglio il ruolo di queste persone e le ragioni del loro comportamento? Sembra quasi che questa parte sia stata inserita in fretta e furia perché gli autori si sono resi conto che le creature non erano in grado di reggere il peso del finale senza scadere nel ridicolo.
Nonostante le pecche di trama e banalità, tecnicamente le ultime scene sono quelle che rimangono più impresse per la scaltrezza degli antagonisti nel far cadere in trappola la famiglia e per l’azione sotto un temporale che porta i protagonisti a compiere un ultimo e patito sacrificio.
La morale finale, enunciata nell’ultima scena, si adatta alla piattezza della pellicola: l’umanità si adatterà sempre ai cambiamenti, per quanto bruschi possano essere.
Dall’idea agli attori: i motivi per fare bene c’erano tutti, Netflix purtroppo si conferma incapace di reggere standard qualitativi medio-alti in pellicole che hanno tutte le potenzialità per essere dei piccoli gioielli.