Rivedere The Village vent’anni dopo è un’esperienza necessaria: il film di M. Night Shyamalan, che quando uscì fu affossato da buona parte della critica, è una pellicola che oggi potrebbe essere definita visionaria, in quanto capace di anticipare molte delle tendenze che avrebbero trovato spazio nel cinema contemporaneo americano e non solo.

Il cinema di M. Night Shyamalan

Per quanto il cinema di M. Night Shyamalan possa essere definito controverso, il regista indiano (naturalizzato statunitense) ha sempre tentato di analizzare la contemporaneità attraverso le sue opere. Quello di Shyamalan è un cinema di genere (spesso horror, talvolta thriller) che si fa metafora delle questione più attuali, tentando così – mentre intrattiene lo spettatore – di innescare in chi guarda una riflessione sulla contemporaneità e, più precisamente, sul presente e sul passato degli Stati Uniti d’America.

Sinossi di The Village

I membri di una comunità del diciannovesimo secolo sono terrorizzati da alcune strane creature che abitano una foresta vicina al loro villaggio.

Ivy e la cecità come simbolo del contemporaneo

La protagonista di The Village è Ivy (Bryce Dallas Howard), una ragazza non vedente. Questa scelta di Shyamalan non è affatto casuale. Il celebre critico cinematografico Gianni Canova, analizzando il cinema postmoderno nel suo libro L’alieno e il pipistrello, afferma che nel contemporaneo l’occhio ha perso la sua capacità di comprendere la realtà: nel cinema post-2001, infatti, viene messo in scena lo scacco del visivo. Nel cinema contemporaneo si avverte…

“una rottura tra visione e conoscenza […]. Non si possono che interpretare così le numerose figure di ciechi […] che ne popolano le scene. […] Da un lato il cinema contemporaneo mostra come il visibile perda terreno di fronte al sempre più marcato affermarsi dell’acustico e del tattile […].”

Gianni Canova

In The Village, infatti, non è la vista ad essere portatrice di verità, bensì il tatto, che diventa anche il principale senso con cui gli abitanti del villaggio interagiscono tra di loro.

La visione parziale dello spettatore

In The Village, però, è anche lo spettatore stesso ad essere vittima del mancato funzionamento dell’occhio. Il film inquadra una realtà convincendo chi guarda che quella sia la realtà oggettiva in cui si muovono i personaggi: tuttavia, alla fine, lo spettatore comprende di essere stato ingannato. La verità, infatti, non era contenuta nelle immagini, ma in quel fuori campo che l’inquadratura escludeva. Infatti, le creature minacciose e innominabili che terrorizzano il villaggio in realtà non esistono, sono solo dei “travestimenti” utilizzati dai padri fondatori, per creare una sorta di regime del terrore che permetta di controllare le menti degli altri abitanti.

Postmodernità: l’attentato dell’11 settembre

Non è un caso che The Village sia stato realizzato nel 2004, solo tre anni dopo l’evento storico più importante della storia recente: la caduta delle Torri Gemelle. Secondo i più importanti esponenti della film theory sono proprio gli attentati dell’11 settembre 2001 a innescare nel cinema un importante cambiamento di paradigma: si colloca proprio lì, a livello temporale, il passaggio dal cinema moderno a quello postmoderno/contemporaneo. L’11 settembre 2001 è una data che ha cambiato per sempre le sorti del mondo e, di conseguenza, anche quelle del cinema, portando gli autori a riflettere su temi nuovi, a indagare diverse tendenze e a raccontare metaforicamente i pericoli con cui il mondo occidentale avrebbe dovuto presto fare i conti.

La guerra “inevitabile” e il nemico “innominabile”

Shyamalan con The Village crea una perfetta metafora per descrivere la situazione che gli USA stanno affrontando in quegli anni. La conseguenza degli attentati dell’11 settembre, infatti, è stata una decisa reazione degli Stati Uniti, con una vera e propria guerra fondata sulla strategia del terrore.

Il nemico a cui Bush, in diretta televisiva, giurava vendetta era effettivamente un nemico esistente, ma non corrispondeva al modo in cui veniva rappresentato e raccontato. Era, sostanzialmente, qualcosa di parzialmente ignoto, una sorta di entità che non aveva una configurazione definita nella mente degli americani. Un nemico simile alle creature di The Village: indefinito e spaventoso. Un nemico che poteva essere sconfitto o tenuto sotto controllo solo seguendo determinate regole. Così, mentre gli Stati Uniti davano il via a una guerra che Colin Powell definiva “inevitabile“, M. Night Shyamalan metteva sullo schermo un storia complessa, metafora di quella situazione: anche in The Village il nemico abita i confini esterni al villaggio e violare le regole stabilite dai padri fondatori equivale ad andare incontro ad una morte violenta e inevitabile.

Il giallo e il rosso

La dialettica tra realtà e menzogna, tra bene e male, attraversa tutta la pellicola e viene rappresentata attraverso il continuo scontro tra due colori primari: il giallo e il rosso. Il giallo rappresenta il bene, mentre il rosso rappresenta il pericolo, la paura, il male. Shyamalan, a livello registico, gioca con questi due colori: li contrappone e li affianca, quasi ad affermare che la loro coesistenza sia necessaria quanto inevitabile. A livello narrativo, il film sembra dire la stessa cosa: per quanto i padri fondatori abbiano instillato negli abitanti del villaggio un terrore puro verso il colore rosso, esso continua a invadere il loro villaggio, sottoforma soprattutto di fiori e bacche che puntualmente vengono estirpati.

Dall’utopia alla distopia

The Village mette in scena anche l’inevitabile passaggio dall’utopia alla distopia. I padri fondatori, infatti, avevano creato il villaggio (isolato da qualsiasi contatto con la civiltà) per sfuggire ai raccapriccianti meccanismi capitalisti e per allontanare un passato di sofferenza. Riportando quel villaggio indietro di un secolo, lontano dalla modernità e dal dolore del quotidiano, essi erano convinti di creare una società migliore per i propri figli che, però, appaiono in realtà come mancanti. Quasi tutti sono afflitti da deficit, come cecità, difficolta neuropsichiche e problemi di comunicazione. Gli anziani hanno stabilito per loro un linguaggio ridotto e ben definito, necessario a limitare il pensiero e a controllare i sentimenti. Insomma, una società idealmente utopica, basata sullo scambio e non sul profitto, si è trasformata presto in una vera e propria distopia che vuole stabilire un controllo totale sugli individui.

Non c’è via di uscita da una società distopica. Non a caso, nel finale, solo ad Ivy sarà concesso di uscire dal villaggio e raggiungere la città per procurarsi i medicinali necessari a curare il suo amato, ferito gravemente. La sua conoscenza del mondo esterno, infatti, potrà essere solo parziale: Ivy, data la sua cecità, non potrà comunque “vedere” cosa c’è oltre i boschi che circondano la comunità.

Conclusioni

Con The Village, Shyamalan crea un film ancora estremamente attuale che, dietro a un’apparente banalità, nasconde una metafora potente della situazione politica statunitense, riuscendo così ad prefigurare diversi temi e tendenze che troveranno un enorme sviluppo nel cinema postmoderno, proprio come conseguenza degli eventi dell’11 settembre 2001.

Leggi anche: