Shyamalan mette da parte i suoi elementi fantastici per concentrarsi su qualcosa di più realistico, Trap parte da un incipit molto accattivante che nella seconda parte perde di incisività ma resta comunque un buon thriller.
Nella sua filmografia, Trap si potrebbe accostare soltanto con The Visit, horror mockumentary che non presentava alcun elemento fantasy. Ma anche qui sarebbe un paragone un po’ forzato, Shyamalan è un regista a cui non piace ripetere lo stesso film, e ce ne aveva dato prova con la trilogia di Unbreakable, che presenta tre film molto diversi fra loro.
Trama: Cooper (Josh Hartnett) accompagna sua figlia Riley (Ariel Donoghue) al concerto di Lady Raven. Poco dopo, Cooper nota una forte presenza di polizia armata, e un dipendente gli rivela che le forze dell’ordine sono lì per catturare un noto serial killer, The Butcher (il Macellaio), che sembra essere proprio Cooper. La tensione cresce quando Cooper capisce che si trova intrappolato in questa situazione e deve trovare un modo per sfuggire alle autorità.
Un incipit molto originale che cattura l’attenzione dal primo istante, ma è allo stesso tempo una di quelle idee che poi rischiano di esaurirsi in fretta. M. Night Shyamalan riesce a tenere alta la tensione anche dopo le svolte narrative, il problema è che si susseguono situazioni troppo inverosimili una dopo l’altra e si fa un po’ fatica a stare al gioco. Il vero punto di forza del film è proprio il protagonista, Cooper (Josh Hartnett) è un personaggio cupo ed enigmatico, che si mostra fin da subito molto astuto. Notevole anche l’interpretazione della figlia adolescente (Ariel Donaghue), c’è un’alchimia molto credibile fra padre e figlia, e lei sembra davvero essere quella teenager entusiasta di essere al concerto della sua cantante preferita. L’idolo di queste giovani ragazze è Saleka (figlia del regista), che fa la cantante anche nella realtà e ha realizzato diversi brani per il film. Lady Raven è il nome del suo personaggio, che come stile musicale ricorda artiste come Rihanna e Taylor Swift. Un gesto d’amore che il padre fa verso la figlia, ritagliandole forse più spazio di quanto fosse davvero necessario.
Da qui la recensione contiene SPOILER
Cooper si accorge presto dell’insolita presenza della polizia al concerto di Lady Raven. Stringendo amicizia con uno dei dipendenti, scopre che l’evento è una gigantesca trappola organizzata per catturare il serial killer The Butcher. La polizia, avendo scoperto che Cooper sarebbe stato presente al concerto, ha pianificato di arrestarlo all’uscita. Un profiler dell’FBI (Hayley Mills) prevede ogni mossa di Cooper, rendendogli quasi impossibile la fuga. Shyamalan ottiene una performance straordinaria da un attore come Josh Hartnett, che riesce a rendere il personaggio di Cooper sia inquietante che divertente. Una scena particolarmente indicativa è quando Cooper chiede alla figlia di scendere nel passaggio sotterraneo, come se si trovassero all’interno di un videogioco. Capiamo che è un uomo sconnesso e chiaramente danneggiato psicologicamente. Passa rapidamente dal padre premuroso che vuole far vivere alla figlia una serata speciale, a psicopatico calcolatore disposto a ferire innocenti pur di salvarsi.
L’idea che Cooper possa mascherarsi perfettamente da genitore modello è uno degli elementi più inquietanti e destabilizzanti del film. Il personaggio infatti funziona soprattutto quando è in controllo della situazione, senza il bisogno di riproporre gli stereotipi del killer cinico alla Patrick Bateman (Christian Bale in American Psycho). Nelle scene più cupe, Hartnett dimostra di poter essere uno psicopatico potenzialmente più convincente e interessante di quello interpretato da Christian Bale. È un peccato che il film diventi troppo equivoco, sempre in bilico fra il serioso e il sarcastico, faticando a trovare una coesione. Sostanzialmente ho avuto l’impressione di un film troppo leggero quando invece c’erano i presupposti per qualcosa di più complesso e riflessivo.
Con questo conflitto tra le due identità di Cooper – cittadino modello e serial killer – Shyamalan cerca di esplorare i demoni dietro la facciata dell’integrità familiare, riuscendoci solo in alcuni momenti. Non ci viene detto molto del suo modus operandi, sappiamo che è un killer brutale, con disordine ossessivo compulsivo (divertente il momento dell’asciugamano!), e che ha avuto un rapporto morboso con la madre. Vogliamo davvero che venga catturato? La risposta è probabilmente no. Hartnett rende il ruolo così interessante da rendere difficile non fare il tifo per lui, almeno per buona parte del film. È soprattutto qui che si vede l’abilità di M. Night Shyamalan.
Trap si può dividere in due parti distinte, la prima ora del film sfrutta il concept con una location che diventa claustrofobica, e Cooper recita il ruolo da padre modello mentre cerca una via di fuga. Nella parte successiva invece è costretto a togliersi la maschera, da qui il film è fuori controllo come il protagonista, ed esplode in quei pochi momenti in cui il killer mostra il suo vero volto. Particolarmente efficace la scena con la cantante Saleka chiusa in bagno mentre chiede aiuto in live, con una tensione davvero palpabile. Ma tutto il potenziale del film viene fuori nella scena verso il finale, con Cooper e la moglie in cucina. Sia a livello psicologico che come messa in scena è il punto più alto di questo Trap, che forse poteva anche provare a prendersi più seriamente.
I plot twist non sembrano più avere molto peso per il regista, ma c’è da preoccuparsi se come me apprezzate molto film come Bussano alla porta e The Happening (E venne il giorno). Trap è un film peculiare per la sua imprevedibilità, che ricorda il modo in cui Hitchcock giocava con le aspettative del pubblico, rivelando solo ciò che era necessario per mantenere alta la suspense. In passato i paragoni tra Shyamalan e Hitchcock potevano sembrare esagerati (tranne per quanto riguarda i loro cameo), ma con Trap sono più che giustificati. Una volta che la trama abbandona il contesto del concerto, la struttura narrativa diventa più simile a quella di un film Red Eye di Wes Craven. Shyamalan mostra qualche incertezza nelle scene più dinamiche che risultano troppo poco realistiche, spezzando il coinvolgimento e la credibilità.
Per quanto riguarda la parte tecnica ci troviamo davanti a scelte decisamente interessanti, anche grazie al direttore della fotografia, Sayombhu Mukdeeprom (Challengers). Riescono a trasformare l’ampio spazio dello stadio (Tanaka Arena, stadio di finzione a Philadelphia) dove si esibisce Lady Raven in un ambiente claustrofobico che sembra racchiudere interamente l’identità della Nazione in cui è ambientato. Cooper (e quindi anche noi) si sente come un topo in un labirinto, quando vediamo il palco è sempre dalla sua prospettiva o di sua figlia. La mdp si muove continuamente, concentrandosi su oggetti e percorsi apparentemente casuali, e attraverso gli occhi di Cooper, tutto questo diventa un potenziale strumento per la sua fuga.
Trap è un’esperienza da non perdere in sala, un film che gioca su più registri, dal thriller costruito con astuzia alla dark comedy più sarcastica. Non è fra i lavori più riusciti di M. Night Shyamalan, ma è un film interessante che lascia spazio a una seconda visione.
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