Immaginate di svoltare l’angolo e ritrovarvi difronte a voi stessi. Provate a muovere un braccio e la persona davanti a voi fa lo stesso, pervasa dal vostro stesso stupore. Le labbra di entrambi si contraggono in un sorriso. È come vivere in un sogno cosciente. Non avete ancora realizzato l’accaduto, non riuscite a spiegarvelo, ma riprendete a passeggiare. Imboccate la via successiva e… ecco che spunta un altro vostro sosia. Siete tre identici sconosciuti.
Questa è la storia di Eddy, Robert e David: gemelli separati alla nascita, che riuscirono a ricongiungersi per puro caso all’età di diciannove anni.
Dapprima, l’entusiasmo non lasciava spazio alle domande. Ma i gemelli cominciarono ad indagare sul loro passato e tutto cambiò. L’ombra di un segreto forgiato dalla paura oscurava le loro vite. Una verità nascosta, degna di un romanzo thriller tra i più riusciti, emerse dalle acque dell’ignoto in cui sguazzavano i fratelli e i loro genitori adottivi. Chi erano, davvero, i gemelli? Perché qualcuno aveva deciso di dividerli?
Tre identici sconosciuti: un documentario spiazzante
Il documentario Tre identici sconosciuti (Tim Wardle, 2018), offre un quadro esaustivo della vicenda. Robert Shafran – uno dei protagonisti, che ancora non sapeva di avere dei gemelli – racconta che, durante il primo giorno del college, tutti nella scuola sembravano riconoscerlo. Si rivolgevano a lui con amicizia e affetto. Ma Robert non conosceva nessuno. Non trascorse molto tempo prima che scoprisse la verità: gli studenti lo scambiavano per Eddy Galland, uno dei suoi gemelli sconosciuti. Robert raggiunse il sosia. I due scoprirono di essere nati nello stesso giorno: il 12 luglio. E l’agenzia di adozioni era la stessa, cioè la Jewish Board of Family and Children’s Services.
La notizia fece scalpore. I giornali pubblicarono una foto dei due e un altro fanciullo fece il suo ingresso nella storia. Era David Kellman, il terzo gemello. La vicenda divenne un fenomeno mediatico. I tre identici sconosciuti erano amati da tutti. Parevano conoscersi da sempre: uscivano insieme, partecipavano ai talk shows, avevano gli stessi gusti e si volevano bene. Iniziarono a vivere nella stessa casa. Ma questa favola disneyana sarebbe presto sfociata in un racconto dell’orrore.
I tre gemelli: le origini
Alla nascita, i tre identici sconosciuti furono affidati alla Jewish Board of Family and Children’s Services. La loro madre biologica non poteva occuparsene. Li aveva concepiti quando era troppo giovane. Eddy, Robert e David riuscirono a rintracciarla e restarono stupiti dalla velocità con cui fagocitava alcol. In ogni caso, non ottennero risposte. L’obiettivo dei tre era comprendere il motivo della separazione alla nascita. Anche i rispettivi genitori adottivi – appartenenti a famiglie molto diverse tra loro – faticavano a tenere per sé la curiosità. Così organizzarono un incontro con le personalità più importanti dell’agenzia di adozioni.
Non ricavarono granché: “I neonati sono stati separati perché sarebbe stato difficile trovare una famiglia in grado di adottarli tutti insieme”. Il gruppo di genitori era pronto ad andarsene. Era già fuori dall’edificio. Ma il papà di Robert aveva dimenticato l’ombrello. Tornò indietro e, rientrato in agenzia, notò che i dirigenti avevano stappato uno spumante. Che cosa c’era da festeggiare?
Una tragica notizia
I gemelli continuavano a divertirsi insieme. Sesso, droga e rock ‘n roll erano all’ordine del giorno. Ma pian piano placarono la loro voglia di festa. Decisero di aprire un ristorante. Conobbero le ragazze che sarebbe diventate le loro mogli. E il mistero che aleggiava sul passato sembrò sparire. La vita da imprenditori, però, non era facile: la gestione del nuovo locale fece nascere le prime diatribe tra Robert, David ed Eddy. Fu quest’ultimo a risentirne più degli altri. Eddy aveva a cuore i fratelli, fin troppo, e voleva che fossero una grande famiglia. Inoltre, si scoprì che soffriva di bipolarismo. A dir la verità, tutti i gemelli avevano sofferto di problemi psicologici durante infanzia e adolescenza. Ma uno di loro, Eddy, ne era più suscettibile.
In parte, ciò era dovuto al contesto in cui era cresciuto: una famiglia rigida, con un padre autoritario che faticava ad apprezzare la vena ribelle e artistica del ragazzo. Eddy era quello che, tra i gemelli, si era ritrovato nel nucleo famigliare che meno si addiceva al suo essere. Il risultato? Eddy, ormai uomo, trascorse qualche tempo in un istituto psichiatrico. Una volta uscito, i litigi con David e soprattutto con Robert continuarono. Inevitabilmente, Eddy crollò: si puntò una pistola alla testa e la fece finita.
La scoperta di Lawrence Wright
Il caso dei gemelli insisteva ad affascinare l’opinione pubblica. Ma gli interrogativi non trovavano risposte: perché i tre erano stati separati alla nascita? Chi aveva l’autorità per compiere un’azione simile? Era un caso che Robbie, Davy ed Eddie si trovavano in famiglie tanto differenti? E come mai avevano tutti una sorella – anch’essa adottiva – di 21 anni? La svolta arrivò grazie allo scrittore e giornalista Lawrence Wright. L’autore doveva scrivere un articolo sul caso. Iniziò ad indagare e si imbatté in qualcosa che andava oltre qualsiasi aspettativa. Rinvenne infatti alcuni documenti in cui si citava uno studio condotto su gemelli omozigoti separati alla nascita.
Era una sorta di esperimento, il cui scopo sfuggiva a chiunque.
I fratelli, però, iniziarono a ricordare: durante l’infanzia ricevevano visite da alcuni sconosciuti, che li osservavano e li sottoponevano a test fisici e di intelligenza. Inoltre, sia Robert che David – Eddy era ormai defunto – rimembrarono che entrambi, da bambini, sbattevano la testa contro le pareti o la culla, fin quasi a subire danni. Non era un caso. Poteva essere un “effetto collaterale” della separazione. Ma il mistero si infittiva: chi erano le persone che li studiavano? I gemelli erano davvero le cavie di un esperimento? Lawrence Wright cercò di approfondire la questione. Scoprì che l’esperimento scaturiva dalla mente del dottor Peter Neubauer: uno psicologo austriaco sopravvissuto all’olocausto.
Lawrence Wright e i tre identici sconosciuti tentarono di scoprire il fine dell’esperimento. Soltanto dopo il documentario di Tim Wardle, ottennero l’accesso ad alcuni file secretati.
Intanto, anche altri gemelli omozigoti denudarono la verità sul loro conto. Più persone, infatti, erano coinvolte nello studio di Neubauer. I genitori delle “cavie” avevano tutti sofferto di problemi psichici. Ma pare che l’intento del dottore non avesse a che fare con la psicologia dei neonati separati alla nascita. Probabilmente, si trattava di uno studio sulla genitorialità. È per questo motivo che Eddy, Robert e David si trovavano in famiglie appartenenti a diversi ceti sociali. E, come già anticipato, tutti avevano una sorella maggiore adottiva di 21 anni.
Se lo studio fosse andato a buon fine, avremmo scoperto quanto un individuo sia influenzato dal contesto in cui vive e quanto contino in tutto ciò i fattori ereditari. Grazie ai tre protagonisti della vicenda, però, si possono comunque trarre degli spunti di riflessione sul tema. I tre, infatti, avevano tanto in comune. Fumavano le stesse sigarette, avevano praticato lotta libera e preferivano le donne più grandi di loro. Ma nel profondo della loro coscienza erano diversi e ne fu una prova il suicidio di Eddy.
Qual è l’insegnamento che ci lasciano i tre identici sconosciuti?
In conclusione, si può affermare che l’ereditarietà spinga l’uomo a vivere esprimendo se stesso. In questo modo emerge il suo sentire più profondo. Il contesto in cui cresce, però, ne modella e influenza la personalità. Quando ciò porta l’individuo a reprimere il suo essere in modo totale, oppure oltre un certo confine che non si dovrebbe varcare, tutto il corpo ne risente. Il morbo del condizionamento sociale si rivela così insalubre, o in certi casi fatale.
La vicenda dei gemelli sembra suggerire che per vivere bene sia necessario riguardarsi dall’omologazione, dalla persuasione e dalla suggestione. È un tema quanto mai attuale, considerando la storia contemporanea e la dominazione dei social media. Le parole di Karl Marx troverebbe una conferma in tutto ciò. Ma lo stesso filosofo era convinto che l’uomo avesse la capacità di modellare e cambiare la storia: una lezione che non si dovrebbe mai dimenticare.