In Night Country, la quarta stagione di True Detective, ci perdiamo nelle oscure giornate dell’Alaska tra morti e misteri
Ci sono voluti 5 anni d’attesa, ma finalmente il pubblico ha potuto tornare ad immergersi nelle torbide atmosfere della serie dark crime più acclamata degli ultimi anni. True Detective: Night Country, a mio parere, è riuscita persino ad accostarsi all’inarrivabile prima stagione dello show. E non solo per elementi sovrannaturali nelle indagini, anche per precisi rimandi narrativi. Al timone della stagione troviamo Issa Lopez, che sceglie di raccontare la sua storia in 6 episodi, invece che i canonici 8, che trovate tutti disponibili su Sky. Una storia da subito avvincente e capace di formulare continue domande nella testa dello spettatore, che troveranno risposta solo nello sconvolgente finale.
Morti ed incubi del passato
In questa stagione di True Detective siamo ad Ennis, Alaska. Otto ricercatori scompaiono misteriosamente dalla struttura di ricerca che sta studiando il permafrost. Il capo della polizia Liz Danvers (Jodie Foster) richiama la ex collega Evangeline Navarro (Kali Reis) quando il caso si intreccia con l’omicidio di un’attivista nativa avvenuto anni prima. Il ritrovamento dei sette corpi nudi e congelati degli scienziati in mezzo al nulla, sarà soltanto l’inizio dell’incubo.
Il femminile e l’importanza dei nativi
La showrunner ha subito definito questa stagione molto simile ma anche antitetica alla prima. Infatti, se con la prima stagione eravamo immersi nel caldo torrido della Louisiana, qui siamo tra i ghiacci dell’Alaska. Soprattutto, se i detective Rust e Marty erano uomini svuotati dal lavoro e dalla vita (anche fedifraghi o sotto psicofarmaci) qui abbiamo la prospettiva di due donne forti ma segnate dal dolore. Danvers e Navarro portano ognuna un trauma personale (caratteristica comune del genere crime) ma riescono comunque a trovare nuovi stimoli per andare avanti. Sono due donne molto diverse che rappresentano le due anime di Ennis: quella dei nativi e delle tradizioni legate ad un passato ancestrale e quella colonizzatrice (in realtà spedita per punizione in quella sperduta cittadina).
L’importanza dei nativi sarà un argomento cardine di questa stagione di True Detective. Infatti, loro stanno lottando da anni contro una miniera che sta inquinando le loro acque. In un epoca in cui il cambiamento climatico è al centro dello scacchiere geopolitico internazionale, le proteste verso la compagnia mineraria sono il sintomo di un urgenza vitale per la sopravvivenza. Anche in una sperduta landa ghiacciata. Trovo, inoltre, interessante come i nativi siano al centro di numerose ultime opere: da Killers of the Flower Moon di Scorsese alla miniserie Echo della Marvel, sino a Night Country. Dimostrando il desiderio dei nuovi autori di non dimenticare il genocidio compiuto dai loro avi.
Rimandi d’autore ed autocitazioni
Tra i riferimenti che ho trovato in questa stagione di True Detective come non partire da La Cosa di Carpenter. Ovviamente per la stazione di ricerca isolata, ma anche per la costante paura dell’ignoto e la percezione di un pericolo che non sappiamo da dove possa arrivare. Non mancano i riferimenti neppure a Twin Peaks: una cittadina in cui si conoscono tutti e con una coppia di agenti locali chiamati ad indagare con qualche aiuto federale dall’esterno. Infine, anche il vampiresco 30 Giorni di Buio, infatti il racconto si svolge negli ultimi 15 giorni dell’anno, durante la lunga notte.
Non mancano le autocitazioni: come l’apparizione dello spirito del padre del detective Rust Cohle. Andato a morire tra i ghiacci dell’Alaska dopo la scoperta della malattia, come ci venne detto dal figlio nella prima stagione. Già, perché bisogna sempre ricordare che:
Il tempo è un cerchio piatto (Rust Cohle)
Infatti il mito di Carcosa e lo strano simbolo che accompagnava questa citazione tornano anche ad Ennis. Danvers e Navarro si ritroveranno ad indagare, mentre intorno a loro la spirale degli eventi tornerà con la sua scia di morte e terrore e lingue amputate!