Storie vere, leggende urbane o fatti di cronaca che porteranno un po’ di brivido al vostro sabato sera.
Questa sera torniamo a parlare di serial killer e non andremo lontano come in passato. Infatti, questa volta ci fermeremo in Italia, più precisamente nella provincia di Bergamo. La storia di oggi la dedichiamo a Vincenzo Verzeni, conosciuto anche come “il vampiro della bergamasca“.
La vita di Vincenzo Verzeni
Nato in una famiglia di contadini l’11 aprile 1849 a Bottanuco (Bergamo), Vincenzo mostra di essere il classico ragazzino per bene e di poche parole. Tuttavia, all’interno del nucleo famigliare le cose non vanno per niente bene. I genitori hanno evidenti difficoltà economiche e avere un padre alcolizzato e una madre affetta da continui attacchi epilettici di certo non ha aiutato.
La sua vita trascorre relativamente bene fino al compimento dei 18 anni. Nel 1867, infatti, tenta di aggredire la cugina Marianna mentre sta dormendo. Vuole morderla al collo, ma fortunatamente la ragazza si sveglia e fa scappare Vincenzo mettendosi a urlare spaventata. Tutti i fatti che verranno raccontati in seguito si sarebbero potuti evitare se la cugina avesse denunciato ciò che era successo quella notte. Purtroppo, però, non risultano denunce.
Due anni più tardi, nel 1869, Barbara Bravi, una giovane contadina, viene colta di sorpresa e aggredita da una figura misteriosa, ma le urla, anche in questo caso, bastano per metterlo in fuga. Solo anni dopo Vincenzo verrà ritenuto responsabile anche di questo fatto. Nello stesso anno, invece, viene identificato per l’ennesima aggressione, quella ai danni di Margherita Esposito. Anche in questo caso, non si capisce perché, ma non risultano provvedimenti penali. Forse ci sono stati ma i documenti sono andati persi, del resto è passato più di un secolo dagli eventi che vi stiamo raccontando.
Iniziano gli omicidi
Sempre nel 1869, un anno prima dell’inizio effettivo degli omicidi di Vincenzo Verzeni, il ragazzo aggredisce, stordisce e segrega in una zona disabitata Angela Previtali. In questo caso, però, succede qualcosa di molto particolare. Infatti, l’aggressore sembra essere mosso da un sentimento di compassione verso la donna e decide di liberarla senza farle del male.
Nel 1870, senza ancora nessuna denuncia effettiva alle spalle (per quanto ne sappiamo), Verzeni si aggira ancora libero per le strade di Bottanuco. Proprio qui incontra la quattordicenne Giovanna Motta, la quale stava andando verso il vicino comune di Suisio a trovare alcuni parenti. Purtroppo la ragazzina scopare nel nulla senza mai arrivare a destinazione. Il suo corpo privo di vita verrà trovato quattro giorni dopo.
La polizia si trova davanti a immagini molto forti: il collo sembra essere stato morso, la carne del polpaccio strappata e le interiora (così come gli organi genitali) sono stati asportati. Inoltre, vicino al cadavere gli agenti trovano degli spilli molto grandi, il che ha fatto pensare che Vincenzo avesse praticato del piquerismo durante o dopo l’omicidio. Per chi non lo sapesse il piquerismo consiste nel provare piacere pungendo e tagliando un corpo con oggetti affilati. Altri grandi “fan” di questa atrocità sono Jack lo Squartatore, Jeffrey Dahmer e, soprattutto, Albert Fish.
Tornando, però, alla vicenda che vede come protagonista Verzeni, nel 1871 aggredisce prima Maria Galli, la quale lo segnala alle autorità, e poi Maria Previtali, che cerca di mordere al collo. Nel 1872 Elisabetta Pagnoncelli ha la fama di ultima e sfortunata vittima. Purtroppo, la donna viene ritrovata con segni di morsi, organi asportati e carne lacerata.
L’arresto e le dichiarazioni di Vincenzo Verzeni
Finalmente l’arresto arriva nel 1873 e Cesare Lombroso, padre della criminologia moderna, si occupa della perizia psichiatrica, ritenendo il killer un sadico sessuale e vampiro. Ad ogni modo, le teorie di Lombroso avevano ancora alcune lacune, in quanto lui si basava sulla conformazione del cranio per capire la psiche di una persona. In questo caso diagnostica gravi forme di cretinismo (deficienza mentale dovuta a un malfunzionamento congenito della tiroide), necroflia e pellagra (una malattia dovuta a una carenza di vitamine e che può essere responsabile di demenza, tra le altre cose).
L’assassino viene dunque giudicato colpevole degli omicidi, ma riesce a sfuggire alla condanna a morte grazie al dubbio di un giurato che lo considera non colpevole. Viene quindi rinchiuso in un manicomio criminale a Milano e condannato ai lavori forzati. Durante il processo, però, ha rilasciato alcune testimonianze:
Ho davvero ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare le altre, perché provavo in un immenso piacere nel farlo. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte con le unghie ma con i denti, perché io, dopo averle strozzate le morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con cui godei moltissimo.
La data di morte incerta
Non si sa quando sia effettivamente deceduto Verzeni. Alcuni lavoratori all’interno del manicomio dicono di averlo trovato impiccato nella sua cella nel 1874. Tuttavia, alcune indagini più approfondite hanno fatto scoprire, negli ultimi anni, un articolo dell’Eco di Bergamo, risalente al 1902. Al suo interno viene detto che la popolazione di Bottanuco è spaventata e sconcertata dal ritorno in paese di Vincenzo Verzeni. La pena dell’uomo, infatti, venne diminuita a 30 anni.
La data di morte, per cause naturali, è riportata anche sul certificato di morte del comune di residenza e indica il 31 dicembre 1918, all’età di 69 anni.